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Editoriale di presentazione (di Francesco Stati)
Abitare: dal latino habitare, “continuare ad avere”, “aver consuetudine in un luogo”. Quella consuetudine che sempre più spesso crolla sotto i colpi di guerre, crisi economiche, sociali, esistenziali.
Caro affitti, mutui da capogiro. Stabili abbandonati, quindi occupati. Mollare tutto e vivere in un van. Scappare perché le bombe hanno raso al suolo la tua casa. Reagire alla solitudine degli anni che passano provando a riscrivere il concetto stesso di convivenza. Erigere metropoli futuristiche per gridare al mondo la propria volontà di potenza. Riappropriarsi di quegli spazi che le mafie avevano strappato alle comunità. Trasferirsi per lavoro in una grande città o scappare, da quella stessa città, perché gli edifici hanno preso le sembianze di moderni, modernissimi AirBnb.
Il senso di precarietà che oggi plasma le nostre vite è tale da indurci a ridefinire concetti antichi, che quasi credevamo immutabili con lo scorrere del tempo. Quello di casa, per esempio. Lo spazio intorno ci appare infinito e multiforme, e al contempo così piccolo da sembrarci quasi asfissiante. In un mondo così non ci sono generazioni. E come potrebbe essere altrimenti, se tutti – giovani e anziani – sono accomunati da uno stesso disorientante senso di instabilità? Ecco allora che l’unica soluzione possibile diventa quella di fare fronte comune. O, ancora, quella di inventare soluzioni creative.
Altre volte, la ribellione porta alla nascita di spazi di vita e socializzazione a partire da storie di abbandono e fatiscenza. Poi ci sono le guerre, una alle porte dell’Europa, le altre sparse in tutto il mondo. Tutte accomunate dalla stessa funesta capacità di distruggere la vita e, con essa, la storia delle persone. Anche quella rinchiusa tra le mura di una casa. Intanto, mentre il concetto di abitare si trasforma, con esso cambiano le città. Lì, i lavoratori e i meno abbienti sono spinti sempre più lontani dal centro, dove oggi sono gli affitti brevi a farla da padrone e i turisti i veri residenti.
Con il nostro quinto numero vogliamo sollevare l’attenzione sul futuro dell’abitare, di noi e delle nostre metropoli. Vogliamo parlare di come vivremo domani a partire dalle fratture di oggi, dove i concetti di città e casa sono messi in discussione dalle crisi del nostro tempo incerto. Un numero con cui essere pronti a guardare al futuro non con la passività di chi si chiude in quattro mura, ma con la curiosità di chi, quella crisi fuori dal suo uscio, vuole capirla.
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