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Quando casa è dove parcheggi: la van life secondo chi la vive

È una scelta attraente e sponsorizzata da molti influencer, che dipingono la van life come via di fuga perfetta per evadere dalla stressante vita contemporanea. Ma non è tutto rose e fiori. Ne abbiamo parlato con chi, seguendo diverse filosofie, la pratica

«La van life è minimalista. Il concetto è che ti basta avere un letto e un bagno e sei contento di vivere nella natura. Poi c’è il camperista, quello che vuole portarsi la casa dentro al van. Sono due cose piuttosto diverse». Così Nadir Maraschin sintetizza un concetto che ripete spesso: la van life non è per tutti

Per chi ha scelto di vivere nomade negli ultimi anni è cambiato tutto. Dall’essere vissuta come una necessità dettata dalla mancanza di alternative, la scelta di abitare in un furgone si è trasformata in una decisione consapevole, glamour, pubblicizzata da numerosi influencer e divenuta popolare soprattutto durante la pandemia. La pausa forzata causata dal Covid-19 ha infatti dato l’opportunità a molte persone di fermarsi e pensare a cosa volevano fare della propria vita. Il che, sommato all’opportunità data dall’esplosione del lavoro da remoto, ha convinto molte persone a gettare il cuore oltre l’ostacolo. 

«Siamo partiti per vivere un mese a bordo di nove metri quadrati insieme al nostro cane e al nostro gatto, senza alcuna esperienza», raccontano Paolo e Sara, noti ai più come Vandipety. «Trenta giorni che ci hanno fatto capire che quella, per noi, era la scelta giusta». Un colpo di fulmine il loro, che in breve tempo li ha portati a girare l’Europa e una buona fetta di Africa; esperienza che raccontano nel dettaglio nel loro blog. Nel bene ma anche nel male, in piena trasparenza.

«Ho incontrato anche coppie, girovagando, ma credo sia un’esperienza che mette a dura prova qualsiasi rapporto: prova a stare insieme ogni ora e ogni giorno con la tua partner e non avere più i tuoi amici per andare a farti la birretta al bar», dice invece Nadir. Il concetto ritorna, la van life non è per tutti. «Sulle persone che ho incontrato in questi anni che hanno fatto questa scelta di vita, mi sono fatto l’idea che ciò che ti fa fare il salto sia la necessità di superare un trauma. Per me è stato così, ero a terra e la van life mi ha permesso di fare un reset. Tuttavia, a fronte di tanti momenti bellissimi, è una vita dove i momenti di grande tristezza non mancano». Nadir tiene a specificare che «per me la van life è un’esperienza solitaria, ho costruito da solo il mio van». Quello del viaggio nomade per lui è un imprinting trasmesso dalla famiglia: «I miei sono camperisti da quarant’anni, in camper ci sono cresciuto, però scegliere di viverci è un passo importante. I miei genitori si sono molto appassionati mentre stavo costruendo il mio van e questa cosa ci ha uniti molto, sebbene mi trovassi dall’altra parte dell’oceano».

I costi

La prima variabile che più di tutto spaventa chi si approccia a questa vita è quella economica. «Il primo passo è stabilire un budget. Il nostro si aggira intorno ai venticinque euro al giorno in due, anzi in quattro, tenendo conto delle spese per cane e gatto. Spesa comprensiva di gasolio, alimentari, assicurazione del mezzo e quella sanitaria, gas… qualsiasi cosa, anche un caffè», raccontano Paolo e Sara. «Siamo molto trasparenti su questo argomento e sul nostro sito web si possono vedere in tempo reale le spese che abbiamo sostenuto fin dal primo giorno di viaggio». 

Molti sostengono che i costi siano inferiori a gestire una casa e un’auto per andare al lavoro. «Non è detto», dice Nadir. «Anzi. Muoversi comporta costi vivi, va fatta costante manutenzione al mezzo e agli impianti. Se non vuoi vivere come un senzatetto a volte ti devi fermare in campeggio o in aree di sosta a pagamento, quantomeno per scaricare le acque nere e fare il bucato. E ogni tanto la serata in hotel ci sta, per come la vedo io, altrimenti vivi davvero una vita da barbone».

L’altro lato della medaglia sono le entrate: una vita nomade non è compatibile con i classici lavori sedentari. Paolo e Sara hanno deciso di cambiare anche la loro vita professionale. «In questo momento attingiamo ai nostri risparmi e stiamo iniziando a guadagnare da alcuni progetti nati on the road: la creazione dei video sul nostro canale YouTube e la scrittura di storie personalizzate. Da fine 2023, dopo un breve rientro giusto in tempo per un “matrimonio a sorpresa a bordo del van”, abbiamo messo in affitto la casa in cui vivevamo. Differenziare le entrate per noi è la scelta migliore». La situazione descritta da Sara e Paolo è quella che molti altri van lifer hanno preso, cioè un’entrata fissa – di solito un affitto – abbinata alla monetizzazione sul web della propria esperienza.

Nadir, invece, non fa affidamento sulla visibilità online. «La sostenibilità economica è un aspetto che purtroppo molti sottovalutano. Per quanto mi riguarda ho vari investimenti fatti negli anni che mi consentono di avere entrate sicure. Li gestisco online e lavoro da remoto per i business che seguo direttamente».

La famiglia

Che sia van life o una normale vita sedentaria, ci sono evoluzioni cui pensare per tempo. Ad esempio, cosa fare se emergesse il desiderio di avere dei figli o di adottarne.

«Abbiamo conosciuto così tante famiglie con figli che vivono uno stile di vita come il nostro che non ci spaventa questa idea», sostengono Sara e Paolo. «Non precludiamo l’idea di poter continuare a viaggiare, almeno in modo part time. D’altronde, questo mondo ci sta davvero insegnando tanto e sarebbe la miglior scuola anche per i nostri figli».

«Non penso che la van life sia adatta alla vita di un bambino», ribatte Nadir. «Sono emigrato negli Stati Uniti vent’anni fa e mi sono reso conto che le amicizie che fai da piccolo sono quelle che poi ti rimangono per sempre. Ci sono stati momenti nei quali non so come avrei potuto farcela senza questi amici. Cosa penseranno questi bambini da adulti? Vorranno andare in giro con un van perché hanno bellissimi ricordi con i loro genitori, oppure penseranno che li hanno fatti girare così tanto da non aver potuto avere amici, frequentare una scuola dall’inizio alla fine, giocare a calcio in una squadra o andare a danza?».

La sicurezza

Quando non hai una porta blindata e muri di mattoni a separarti dal mondo esterno la sicurezza assume un significato nuovo, che si diversifica in maniera sostanziale in base a dove si svolgono i propri viaggi.

Per ora Nadir è concentrato sugli Usa, ma non disdegna l’idea di allestire o acquistare un secondo van per girare l’Europa. Anche perché il suo mezzo sarebbe pressoché impossibile da omologare, al di qua dell’Atlantico. «Ricordo che da bambino eravamo con il camper a Tarragona, in Spagna e dei ladri provarono a entrare mentre stavamo dormendo. Non lo dimenticherò mai. Dopo quel momento mio padre dormì sempre con il coltello sotto al cuscino e la mazza da baseball a portata di mano. Negli Stati Uniti ho preso la licenza per la pistola e da quando ce l’ho dormo molto più tranquillo, soprattutto perché viaggio da solo».

Paolo e Sara, dopo aver girato Europa e Africa occidentale, sono in partenza per il sogno di una vita, un viaggio via terra fino al Giappone. «Da quando siamo partiti è stata talmente tanta la fiducia che abbiamo riscontrato nel prossimo che non abbiamo mai avuto alcun timore. Anzi, a essere sinceri eravamo molto più in pensiero quando il van è rimasto per due settimane parcheggiato a Torino. Abbiamo vissuto un unico episodio negativo in Senegal, quando hanno rotto il finestrino e rubato il cellulare lasciato a bordo. Sarebbe potuto succedere in qualsiasi altra parte del mondo e, a posteriori, siamo stati sprovveduti a pensare che la nostra rottweiler sarebbe bastata per spaventare  i malintenzionati».

La vecchiaia

«Non ci piace lamentarci a priori per il futuro, sperare nella pensione e ripetere la solita frase, “tanto non la prenderemo mai”», spiegano Sara e Paolo. «Stiamo cercando di diversificare il più possibile le entrate, lavorando su più fronti e risparmiando in modo consapevole. Speriamo di diventare due ultracentenari che mescolano parole di lingue diverse, oltre a spezie provenienti da luoghi diversi, e di aver sempre una gran voglia di imparare e metterci in gioco».

«Non ho mai pensato di fare il nomade per sempre», sostiene invece Nadir. «L’idea iniziale era di fare tre mesi sul van, tre mesi in giro per il mondo e avanti così finché non avessi trovato il posto perfetto per iniziare una nuova vita. La maggior parte delle persone che vedo scegliere questa via, tuttavia, credo lo faccia perché è esaurita dal lavoro, o per inseguire un ideale rainbows and flowers che in realtà non esiste. Cosa fai in un van quando piove per settimane? Se ti svegli la mattina e sei bloccato sotto la neve? Se non si chiudono più le serrature perché la sabbia della spiaggia le ha bloccate? Vedo tanti fare un salto nel vuoto senza aver ben pensato a tutte le conseguenze. Bisogna sempre avere un piano B. Per me la van life è una connessione con la natura, ma resta una tappa della vita e non la vita stessa».


PER APPROFONDIRE

Cos’è la #VANLIFE, clicca per leggere l’approfondimento

Per van life (detta anche van dwelling) si intende la scelta di vivere in maniera permanente in un furgone camperizzato, senza alcun immobile al quale fare ritorno. Si tratta di uno stile di vita nomade, un cambio totale di paradigma per una società, quella occidentale, caratterizzata da una storica connotazione negativa del nomadismo, di solito associato a situazioni di disagio e indigenza. Spesso chi sceglie di vivere la van life mette in affitto la propria casa per poter contare su un’entrata fissa, che integra con un lavoro da remoto e con l’attività da influencer.

Chi è Nadir Maraschin?, clicca per leggere l’approfondimento

Nadir, italiano naturalizzato statunitense, è originario di Schio, in provincia di Vicenza, e ha scelto vent’anni fa di cercare fortuna in America. Batterista e produttore, è un imprenditore attivo in vari settori, sempre alla ricerca di nuove idee di business. Ha scelto di vivere in van dopo un lutto avvenuto poco prima della pandemia. «A maggio 2022 ho lasciato definitivamente la casa. Ho un deposito dove tengo le batterie, il guardaroba, lo snowboard, la bici e tutto quello che non ci sta nel van, che mi sono costruito da solo in nove mesi di lavoro. Se voglio spostarmi verso il mare o la montagna posso andare dove voglio, sono del tutto nomade in questo momento». Nadir fa la spola tra Usa ed Europa con i suoi due passaporti mentre affronta la farraginosa burocrazia richiesta per poter sposare negli Stati Uniti la sua compagna iraniana, conosciuta per caso in Turchia durante uno dei suoi viaggi. 

Chi sono Paolo e Sara?, clicca per leggere l’approfondimento

Paolo Provera e Sara Moressa sono noti sui social come Vandipety. Da una normale vita nella provincia piemontese – programmatore lui e igienista dentale lei – hanno deciso di passare alla van life durante la pandemia. Sul loro sito raccontano la loro esperienza nel dettaglio, dalla parte più edonistica propria del viaggio in sé alla rendicontazione al centesimo dei costi relativi a questa scelta. Parte della loro attività online, infatti, è testimoniare la loro esperienza nella maniera più trasparente possibile, per aiutare altri a prendere una decisione più consapevole.

Li trovate sui loro siti web e su tutti i social come @vandipety.


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