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Editoriale di presentazione (di Roberta Nutricati)
In Italia la questione femminile e il filone degli studi di genere stanno guadagnando terreno, anche al di fuori delle bolle femministe, con una marcia pacifica ma che vuole fare rumore fuori dalle stanze insonorizzate del patriarcato. Se però a disquisire del ruolo delle donne e dei loro diritti – che passano da un canale stretto e buio, come quello da cui ogni individuo viene al mondo – sono solo (o soprattutto) gli uomini, questo risultato è una vittoria di Pirro.
E allora, per questo mese di slogan al gusto di pinkwashing, Prismag non vuole festeggiare un bel niente, ma onorare il valore storico del tragico evento da cui è nata la giornata dell’8 marzo, sviscerando tutte le dimensioni di lotta delle donne per esistere nella società, prendersi spazio e ridisegnare le (inique) dinamiche di potere. Con storie, dati, grafici e immagini che raccontano la vita delle donne di oggi e di ieri, dalla penna delle sole autrici di questo progetto editoriale, al servizio delle voci e delle esperienze di altre donne che si battono per risemantizzare lo spazio pubblico che occuperanno le sorelle di domani.
«Gli uomini guardano le donne. Le donne guardano loro stesse mentre vengono guardate», scriveva John Berger in Questione di sguardi, descrivendo la fatica di liberarsi dall’oggettificazione maschile, che si nutre del culto dell’apparenza. Intanto, corpi desiderabili e performanti cannibalizzano i feed social sindacando su stili di vita e alimentazione, per monetizzare attraverso pubblicità occulta – legata a doppio filo con gli addetti ai lavori della salute alimentare – sulla frustrazione di avere un corpo non conforme a un presunto standard o auto-percepito come inadeguato.
Il controllo sull’autodeterminazione delle donne non risparmia nessuna forma di violenza. Da quella sui diritti riproduttivi – che in Polonia, come in Italia, vive un ostruzionismo di ritorno – a quella ostetrica, che subisce una partoriente su tre, fino alle peggiori pratiche mediche non consensuali di episiotomia e husband stitch. Nei casi più gravi, l’abuso si innesta su un piano di discriminazione che interseca l’appartenenza a più comunità marginalizzate: un fattore di rischio reale secondo le testimonianze di donne neurodivergenti vittime di violenza. Le molestie poi, in alcuni luoghi di lavoro sembrano endemiche, ma fare rete si sta rivelando il modo migliore per stigmatizzare questa sopraffazione.
Senza dimenticare la causa Cenerentola, grande assente dal dibattito mainstream: la violenza economica. La forma più subdola, e quindi normalizzata, anche dalle donne stesse, immerse a tal punto nel retaggio per cui “i soldi sono cose da uomini” da autoescludersi dalla loro gestione. È la stessa dinamica di maschilismo interiorizzato per cui si chiede di perdonare il catcalling o molestie simili agite in pubblico – persino elevate a complimenti di cui sentirsi lusingate – tanto da convincere le vittime di essere portatrici sane di istigazione a legittimi istinti primordiali. «No, non tutti gli uomini», dicono loro. Noi rispondiamo: «Sì, tutte le donne».
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