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L’ambientalismo è donna

In un mondo in cui la popolazione ha ancora bisogno di essere sensibilizzata sulla questione ambientale, emerge una disparità di genere molto diversa dalle altre. Questa volta non a sfavore delle donne

L’ambientalismo è donna. Lo certifica uno studio di Mintel che, a riguardo, parla di eco gender gap. Le donne cercano di vivere in maniera più sostenibile rispetto agli uomini, con un 71 per cento di popolazione femminile green rispetto al 58 per cento di quella maschile. Sono gli uomini a consumare più gas serra, contribuendo con un consumo più elevato di carne, sono le donne a sprecare meno, cercando di ridurre il consumo d’acqua e fare una spesa più sostenibile. Le donne compiono gesti quotidiani più sensibili per l’ambiente, risultano più attente nella raccolta differenziata, nell’imparare a distinguere ciò che è ecologico e anche più impegnate nel sensibilizzare ed educare le nuove generazioni sull’ambientalismo. Secondo uno studio dell’Ocse del 2008, «le donne hanno un atteggiamento più verde» e secondo uno studio dell’Undp del 2018, esse «tendono a sostenere le comunità locali e le popolazioni indigene e sono più propense a seguire le direttive delle politiche ambientali». È reale e visibile come donne e uomini abbiano atteggiamenti diversi nei confronti dei rischi e dei danni che comporta il cambiamento climatico: sembra che siano più le prime a considerare una vera minaccia il riscaldamento globale e sono sempre loro ad avere una maggiore sensibilità alla necessità di cambiare i propri comportamenti per la salvaguardia dell’ambiente (Pew Research Center).

La leadership delle donne e gli esiti positivi per l’ambientalismo

Non solo le donne sembrano avere una maggiore sensibilità ambientale nel quotidiano, ma questa loro propensione riesce anche a portare delle conseguenze positive nell’ambiente lavorativo. Alla leadership delle donne vengono collegati la promozione del coinvolgimento dei dipendenti e il raggiungimento del giusto equilibrio tra atteggiamenti benevoli e assunzione dei rischi, ed è comprovato che sono le donne manager e dirigenti a favorire migliori prestazioni ambientali e pratiche commerciali responsabili, proprio grazie alla loro attenzione all’ecosostenibilità.

Così come nelle imprese, anche al governo una maggior presenza di cariche femminili sembra migliorare le cose. Questo è dimostrato dal fatto che in quei Paesi in cui vi sono donne in politica vengono posti obiettivi climatici più ambientalisti e più attenti al futuro dell’ecosistema. Ne è esempio la Finlandia. Sanna Marin, ex ministro del Paese, al Generation Equality Forum aveva affermato che «la piena ed equa partecipazione delle donne ha reso possibile lo sviluppo della Finlandia», che oggi è uno degli Stati che hanno raggiunto quasi tutti gli obiettivi internazionali per migliorare salute, istruzione, acqua, energia e pace, sebbene gli elettori nelle ultime elezioni politiche abbiano scelto un rappresentante uomo in luogo della presidente uscente.

La magra rappresentanza femminile in politica

Nonostante gli esiti positivi portati dalle donne al vertice, il loro potere politico non si è distribuito come dovrebbe. Gli uomini continuano a dominare settori come l’economia, la difesa, la giustizia e gli affari interni, riducendo al minimo la rappresentanza femminile in questi campi. Ci sono stati piccoli passi avanti nel corso degli anni, ma non abbastanza. Secondo gli studi redatti nel 2023 dall’Inter-Parliamentary Union, l’11,3 per cento dei Paesi ha capi di Stato donne e il 9,8 per cento ha capi di governo donne. Un aumento rispetto a un decennio fa, quando erano rispettivamente il 5,3 e il 7,3 per cento. L’Europa rimane il continente ad avere il maggior numero di Paesi guidati da donne, seguito dall’America del Nord, dall’America Latina e dai Caraibi. A gennaio 2023 le donne rappresentavano il 22,8 per cento dei ministri ma, nella maggior parte delle altre regioni non citate, queste sono gravemente sottorappresentate, con un 10,1 per cento in Asia Centrale e un 8,1 per cento nelle isole del Pacifico. Solo tredici Paesi, soprattutto in Europa, hanno governi con il 50 per cento o più dei rappresentanti in politica donne, nove non hanno alcuna donna a rappresentarli politicamente.

Un fattore che sembra mettere a rischio la presenza delle donne leader nel mondo è la crescente militarizzazione a causa dei conflitti militari internazionali: c’è ancora molta incertezza nei confronti dei ruoli delle donne leader quando si parla di sicurezza e difesa dei confini perché vengono viste dagli elettori molto più a loro agio e utili in ministeri come quelli dell’Istruzione e della Sanità, a differenza degli uomini, visti più forti nell’ambito della Difesa. Secondo Un Women, di questo passo l’uguaglianza di genere nelle posizioni politiche di rappresentanza non si raggiungerà prima dei prossimi 130 anni; inoltre, nel 2023 c’è stato un passo indietro rispetto al 2022, con le donne leader scese da diciassette a tredici.

Le donne che hanno guidato il cambiamento

Le donne sono sempre state oppresse e silenziate, ma le loro parole vengono sempre più fuori. Oggi, infatti, ci sono esempi di donne forti e di spicco che si battono a testa alta per combattere l’inerzia dei governi mondiali in tema di ambientalismo. Gro Harlem Brundtland, politica e attivista norvegese che, dopo esser stata ministro della Salute nel 1965, fu eletta ministro dell’Ambiente nel 1974 diventando la prima donna, nonché la persona più giovane, a ricoprire il ruolo di primo ministro. Fornì un grande contributo alla riformulazione del concetto di sviluppo sostenibile, dopo essere diventata presidente della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (1983) e aiutò la pubblicazione del rapporto Brundtland che, con il documento Our Common Future, ha definito lo sviluppo sostenibile come è oggi.

Ridhima Pandey, giovane attivista ambientale indiana, a soli nove anni inviò una petizione al National Green Tribunal del suo Paese per invitarlo a compiere azioni contro il cambiamento climatico, arrivando a raggiungere il comitato delle Nazioni Unite a dodici anni, insieme ad altri sedici adolescenti, per denunciare Argentina, Turchia, Germania, Francia e Brasile per gli insufficienti sforzi nei confronti della crisi climatica. È passata dall’essere una relatrice a una conferenza sull’ambiente a Parigi a partecipare al Global Climate Strike insieme a Greta Thunberg nel 2017, per poi fare interventi pubblici e conferenze per coinvolgere i suoi coetanei nella lotta al riscaldamento globale e al deperimento ambientale. 

Vandana Shiva, influente scienziata che si batte da anni per la tutela della diversità biologica e contro gli Ogm, a vent’anni si unì al movimento femminile non violento Chipko per fermare la deforestazione negli altopiani dell’India settentrionale, diventando un’abbraccia-alberi. Oggi è considerata la rockstar del movimento anti-Ogm e ha ricevuto nel 1993 il Right Livelihood Award, un premio Nobel alternativo, per poi essere considerata «eroina ambientale» dal Time nel 2003 e tra cinque più potenti comunicatrici dell’Asia dall’Asia Week. Fondatrice del Research Foundation of Science, Technology and Ecology, ha anche creato nel 1987 Nevdanya, un movimento per la difesa della sovranità alimentare, dei semi, della biodiversità e dei diritti dei piccoli agricoltori che promuove l’agricoltura biologica e il commercio equo.

Da non dimenticare colei che è stata ed è tuttora il simbolo mondiale dell’ambientalismo giovanile: Greta Thunberg. Attivista svedese nata nel 2003, è legata alla creazione nel 2015 del movimento Fridays for Future e alla sua lotta continua per l’ambiente e per smuovere non solo i governi, ma anche i suoi coetanei e tutta la popolazione mondiale. Famosissimo è il suo discorso a Davos, del gennaio 2019: «Manca pochissimo e i nostri errori saranno irreparabili. […] Dobbiamo renderci conto che abbiamo fallito sul cambiamento climatico, tutti – politici e media. Non voglio la vostra speranza, voglio che cediate al panico». Ancora oggi, Thunberg si batte e continua a essere il volto di quei giovani che vogliono cambiare il mondo.

Secondo l’Onu, «le donne sono gli agenti del cambiamento per lo sviluppo sostenibile, in particolare salvaguardando l’ambiente e affrontando gli effetti negativi del cambiamento climatico». È questo uno dei motivi che dovrebbero spingere a sostenerle non solo in politica, ruolo che esse occupano ancora troppo marginalmente, ma ovunque possano fare la differenza.

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