Si fa, ma non se ne parla, nemmeno tra amanti. Si fa, lo fanno tutti, lo sanno tutti. Purché non si venga beccati. Finché non si viene beccati. E finché non lo ammetti, il problema non esiste. Non ti esporre, tieni la testa bassa e vai nei battuage, di ragazzi ne trovi. Vorresti qualcosa di più? Perché? Non ci può essere altro per noi, siamo invertiti. Abbiamo avuto l’opportunità di visitare il Centro di documentazione Aldo Mieli, a Carrara, in Toscana, ricco di documenti legati al mondo Lgbtqia+ e gestito da un’associazione no-profit. Quando si entra nell’archivio, si incappa in una dimensione a parte.
È silenzioso, profumato, colorato, fatto di tante stanzine adibite a zone di lettura. Le pareti sono ricoperte fino a terra da scaffali di libri, riviste, scatole che contengono cartoline, fotografie e lettere. Sotto alla finestra della stanza più grande c’è un grammofono a manovella, ma ha la puntina rotta e non è possibile usarlo. Non tutto è perduto, però, perché i dischi in vinile che si trovano appoggiati ai libri si possono ascoltare nel giradischi elettrico contro la parete opposta. Dalle casse parte gracchiando la musica dei Red Lipstique con Oscar Wilde, un disco del 1983. La canzone ci accompagna mentre esploriamo l’infinità di materiale presente, donato all’associazione da collezioni private o raccolto in prima persona da Luca Locati Luciani, che cura l’archivio e ci guidai alla scoperta dei documenti che raccontano la storia privata delle persone Lgbtqia+ dalla metà dell’Ottocento fino ai giorni nostri.
Troviamo un album di fotografie di uno dei primi Pride, a Providence (Rhode Island) il 30 giugno 1979. Gli striscioni richiamano slogan volutamente provocatori, perché il Pride non è una festa, ma una rivendicazione di visibilità.
Era il 1969, la notte tra il 27 e il 28 di un giugno newyorkese, allo Stonewall Inn, quando la coscienza collettiva delle persone Lgbtqia+ si è svegliata e ha risposto alla violenza con forza. Con orgoglio. E ha marciato nelle strade.
Era il 26 maggio dello stesso anno, questa volta a Firenze, quando su La Nazione usciva un articolo su un «incredibile manifesto», in cui alcuni «rappresentanti di sesso ambiguo» si lamentavano delle «ingiuste persecuzioni» della polizia nei loro confronti con quelle che erano definite come «ridicole pretese». In quel manifesto, i «giovani del terzo sesso» chiedevano che finissero le retate e gli arresti, perché erano esseri umani con gli stessi diritti, erano anche loro regolari contribuenti. L’articolo si concludeva con la frase: «Basta con gli omosessuali oltretutto sfrontati e prepotenti!».
Reato di libidine contro natura: clicca per leggere l’approfondimento
L’articolo 425 del Codice penale sabaudo (1840-1889) puniva il rapporto omosessuale con la reclusione fino a sette anni estensibile ai lavori forzati; nel “nuovo” codice Zanardelli, in vigore dal 1890 al 1930, il reato di libidine contro natura non compare più. Da sottolineare che il codice sardo non venne esteso a tutte le regioni, per cui l’omosessualità era reato al Centro-Nord, ma non in Toscana né nel meridione. Giovanni Dall’Orto, giornalista, storico e attivista Lgbtqia+, fornisce ulteriori dettagli al riguardo.
L’importanza di questa data è che incarna la nascita dell’orgoglio e la decisione di esporsi. È diventare consapevoli di essere comunità, di non essere da soli, inferiori, sbagliati. Criminali.
Si fa e si dice.
Pima di Stonewall non c’era solo nascondersi e venire arrestati, però. C’era anche tutto un sottobosco di occasioni gioiose di cui si parla molto poco. Ad esempio, rimanendo a Firenze, è tramandato da fonti orali che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento ci fossero tre bar-caffè-concerto molto frequentati da artisti e letterati. Questi caffè sono aperti ancora adesso e, pare, siano stati luoghi di ritrovo per conoscere altre persone omosessuali. Frequentarli era diverso dall’andare in un bagno pubblico dietro la stazione per un incontro furtivo. Erano luoghi misti, dove poter parlare, fare conoscenza, stare in pubblico senza nascondersi.
Caffè fiorentini: clicca per leggere l’approfondimento
I tre bar-caffè-concerto fiorentini sono il Donnini, il Paszkowski e Le Giubbe Rosse. Il caffè Donnini aprì nel 1894 con il nome di Bar Imperial di Ettore Donnini, da cui poi prese il nome. Nel 1897 aprì il caffè Le Giubbe Rosse, in allusione agli smoking o giacche color rosso fiamma e al grembiule bianco dei camerieri. Il caffè Centrale passò nel 1907 alla gestione della Società anonima Toscana C. Paszkowski, adottando il nome di caffè Paszkowski, in omaggio al proprietario, di provenienza polacca. Cronaca dei caffè storici di Firenze 1865-1900 (di Mónica Vázquez Astorga, 2015) approfondisce la storia di questi caffè.
Sempre nello stesso periodo ci si ritrovava in salotti e feste private, dove le persone potevano sentirsi protette, al sicuro dai rastrellamenti che capitavano di frequente nei locali notturni o nei luoghi di “rimorchio”. A proposito di locali notturni, non era raro che già dai primi del Novecento ci fossero esibizioni di coloro che oggi chiameremmo drag queen.
Female impersonator: clicca per leggere l’approfondimento
A Berlino, Willy Walde e Hansi Sturm sono state due delle più famose female impersonator della prima metà del Novecento. Si facevano pubblicità con le cartoline che potevano essere spedite ad amici e conoscenti, in modo da far spargere la voce senza spendere molto.
Attraverso le foto, ripercorriamo la storia e i passi in avanti fatti dal movimento Lgbtqia+. Dalla pericolosità di essere esposti, con i conseguenti danni all’immagine, dalla paura dell’arresto e delle violenze, alla libertà di oggi di potersi sposare e adottare figli, pur con limitazioni.
Nel 2024 è più facile che mai dichiararsi e vivere alla luce del sole, per lo meno nella maggior parte dei Paesi occidentali: le retate ai locali pubblici sono finite e le amministrazioni si fanno belle nel concedere il rispettivo logo istituzionale alla parata del Pride. In effetti, a giugno assistiamo al rainbow washing da parte di aziende che all’improvviso si colorano per cavalcare l’onda e ingraziarsi i clienti.
Alla fine, anche questo può essere utile per la rivendicazione di diritti, non fosse altro perché non fa più sentire soli e sbagliati.