Nonostante siano stati fatti dei passi avanti, molti Stati non si preoccupano di legiferare per tutelare la comunità Lgbtqia+. Sono soltanto cinquantotto i Paesi membri delle Nazioni Unite ad avere una normativa sui crimini d’odio che faccia riferimento alla comunità e solo tredici Carte Costituzionali prevedono il divieto esplicito di discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Nessuno parla dei caratteri sessuali, escludendo a priori le persone intersessuali che si ritrovano, nella ricerca stessa dell’uguaglianza di genere, a non essere rappresentate.
All’interno della stessa Unione Europea ci sono differenze nelle leggi sui diritti della comunità Lgbtqia+. Alcuni Stati riconoscono le coppie di fatto, altri invece il matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso e altri ancora il diritto all’adozione.
È un po’ diverso per le persone transgender: in molti Paesi per accedere al cambio di dati anagrafici è richiesta una diagnosi di disforia di genere, per cui «il soggetto si identifica in maniera intensa e persistente con individui di sesso opposto a quello biologico» (come nella definizione data dal DSM-5).
Un disagio giovanile, ma non solo
«In una relazione etero-passing ho la consapevolezza di non “rischiare” nulla, di non dovermi preoccupare di far valere un qualsiasi diritto che, al contrario, non mi sarebbe garantito se mi innamorassi di una persona del mio stesso genere o sesso biologico». A parlare è Marta, ventitré anni, bisessuale. Alcuni diritti «a malapena conquistati», spiega, «sono stati concessi dall’Italia alla comunità Lgbtqia+ solo per stare al passo con il resto del mondo e non fare eccessivamente brutta figura». Da bisessuale, Marta non si sente riconosciuta: «Spesso mi capita di non essere presa sul serio. Il mio orientamento sessuale è considerato una fase o una devianza dovuta a problemi familiari». Secondo Elettra, ventitré anni, pansessuale e non binaria, «in alcuni ambienti, come quello universitario, alcuni sforzi di inclusività sono stati fatti, ma la mentalità della maggior parte degli appartenenti alla generazione che attualmente occupa posizioni di potere rende difficile sentirsi rappresentata o prendere strade di auto-affermazione anche quando queste sono disponibili». Per entrambe è il governo italiano in carica a mettere i bastoni tra le ruote alle coppie omosessuali e/o omogenitoriali; un governo i cui rappresentanti, ricorda Elettra, quando erano all’opposizione, «fecero una standing ovation alla tagliola in senato al Ddl Zan. Per loro, l’educazione sessuale viene demonizzata per fini propagandistici, fino a diventare un vero e proprio tabù».
Elettra non è mai stata vittima di un’aggressione fisica, ma ha subìto molte micro-aggressioni legate al suo aspetto e al suo comportamento. Ciò non soltanto per colpa dei cittadini omofobi, ma per uno Stato, quello italiano, che ha uno standard basso per quanto riguarda la presa in considerazione di diritti Lgbtqia+. Lo dimostra una ricerca dell’Ilga (International Lesbian and Gay Association) che ha preso in considerazione quarantanove Paesi europei analizzando come le loro leggi e le loro politiche influenzino la comunità Lgbtqia+. L’Italia si trova al trentaquattresimo posto, con il 24,86 per cento, lontanissima dai numeri di Malta (89,29 per cento) e Belgio (76,37 per cento), rispettivamente in prima e seconda posizione.
Una comunità che non smette di ribellarsi
I membri della comunità Lgbtqia+ si sono sempre fatti avanti per far valere i loro diritti, sfidando a gran voce quei governi che miravano a zittirli. Dai moti di Stonewall nel 1969, che dopo un raid della polizia in un bar gay di New York portarono alla creazione di un movimento di liberazione omosessuale, nacquero le prime azioni di disturbo da parte degli attivisti. Molto spesso le proteste dei membri della comunità venivano dipinte come stupide, poiché colorate, festose, eccentriche, ma raggiunsero il loro obiettivo: puntare i riflettori sulla causa. Le manifestazioni si diffusero in tutto il mondo e, seppur lentamente, iniziarono anche nei Paesi più restrittivi. Per esempio, in Uganda il primo gay pride risale al 2014, dopo l’annullamento della legge anti-gay: nonostante la parata fosse contestata a gran voce dal governo, i manifestanti scesero lo stesso a celebrare con canti e balli. Nel 2023, a Istanbul, che aveva vietato il Pride nel 2015, molti membri della comunità sono scesi in piazza per far sentire la loro voce, nonostante la polizia abbia interrotto il tutto dopo pochi minuti. Ci sono state proteste anche davanti al museo Fifa, a Zurigo, nell’anno della Coppa del Mondo. Obiettivo, insistere maggiormente affinché il Qatar, Paese che non dispone di nessuna legge anti-discriminazione, si interessasse della comunità Lgbtqia+ e assicurasse maggiori tutele ai tifosi; e ancora, è di quest’anno la manifestazione davanti a piazza della Scala di Milano contro la circolare che bloccava la trascrizione dei figli di coppie omogenitoriali, con adesioni anche da parte di figure politiche di spicco di +Europa.
Anche la chiesa liberale tedesca si è schierata con la comunità Lgbtqia+, organizzando nel 2021 in più di cento chiese benedizioni pubbliche delle unioni dello stesso sesso, sfidando il Vaticano e la Chiesa cattolica tedesca.
L’Italia e la mancanza di leggi concrete sui diritti Lgbtqia+
L’Italia è molto indietro rispetto alla maggior parte dei Paesi Ue perché fatica ancora a riconoscere la maggior parte dei diritti fondamentali per la comunità Lgbtqia+.
Nonostante la prima legge in materia sia del 1982, essa si riferisce soltanto alla possibilità per le persone transgender di effettuare il percorso di transizione e ottenere la modifica dei dati anagrafici sui documenti d’identità, menzionando soltanto l’intervento chirurgico. Ad oggi, non c’è una legge che condanni in maniera esplicita i crimini d’odio o gli atti discriminatori e non è ancora riconosciuto il matrimonio egualitario, negando alle coppie omoaffettive la possibilità di trascrivere sull’atto di nascita del figlio il nome del genitore non biologico, escludendole così da molte tutele.
Nel nostro Paese sono sempre più frequenti violenze di stampo omotransfobico, giustificate da ideali radicati nell’educazione non solo dei più adulti ma anche dei più giovani. In un contesto culturale in cui la famiglia tradizionale è quella composta da uomo e donna, è difficile sentirsi presi in considerazione e rappresentati, ritrovandosi talvolta a nascondersi dai soprusi, incapaci di chiedere aiuto a un Paese senza alcuna legge anti-discriminazione.
La questione dei diritti umani sta creando un conflitto non armato tra Stati retrogradi e poco progressisti e una popolazione che si impegna ad aprire i propri orizzonti verso un mondo più tollerante e giusto.