«Virilità contro vulnerabilità». Il parallelismo è di Manuela De Luca, responsabile organizzativa delle giovanili del Napoli femminile. Secondo De Luca, «ancora oggi nelle nostre società la vulnerabilità escluderebbe le donne da alcuni sport in cui si realizza il gioco della violenza maschile, ovvero quelli adatti a produrre segni visibili della mascolinità». La sua tesi è stata scelta a marzo scorso come il miglior elaborato del corso Figc (Federazione Italiana Giuoco Calcio) da direttore sportivo 2023/2024. Il lavoro, intitolato Donne in campo. L’assist della sociologia, parte dal fenomeno calcistico come fatto sociale e collettivo per poi svilupparsi in direzione della pratica al femminile.
Il calcio degli uomini e quello delle donne sono separati sin dalle rispettive fondazioni ufficiali (1863 e 1894, Regno Unito). Ma, soprattutto, sono lontani e paralleli per come vengono tuttora percepiti dai tifosi. Questioni di popolarità, forse (anche se i margini vanno riducendosi sempre più in tanti contesti nazionali), ma soprattutto di convenzioni e stereotipi culturali e linguistici, tutt’oggi in vigore. «Anche attraverso il differente accesso al mondo del calcio si riafferma un ordine sociale simbolico di subordinazione delle femmine al dominio maschile», scriveva il sociologo francese Pierre Bourdieu nel 1998. Il calcio riproduce le gerarchie salariali, occupazionali ed economiche, dove valgono anche gli schemi valoriali tipici della cultura del corpo e della sessualità. Il maschio è forte, virile, mentre la femmina è delicata, graziosa. Niente di più falso, soprattutto in un mondo come quello contemporaneo sempre più fluido. «Il calcio offre l’opportunità di portare un messaggio sull’uguaglianza di genere, per una minore discriminazione delle donne nel mondo del lavoro», ha spiegato De Luca in alcune recenti interviste.
«Se continuiamo a concepire il calcio delle donne come la versione femminile di quello maschile non ne veniamo fuori», ci spiega Pippo Russo, sociologo dell’università di Firenze. «È un calcio diverso e proprio per questo sta crescendo», anche se «ricordo i soliti leoni da tastiera invocarne la fine dopo il flop italiano al mondiale 2023».
Secondo Russo, dobbiamo ancora abituarci a nuovi modi di raccontare il calcio perché siamo culturalmente arretrati. Per quanto vedremo ancora gli studi TV con una conduttrice e tanti ex calciatori e opinionisti maschi? Anche per lo psicologo dello sport Marco Naman Borgese, docente all’università del calcio di Coverciano, «nel calcio domina ancora la logica machista del maschio alfa e ancora nessuno, in Italia, riesce a scardinare questo blocco attraverso un’alternativa culturale e linguistica», ci spiega. «Pesa la logica ereditaria dentro le istituzioni». Eppure, di donne al vertice nella società italiana ce ne sono, ha ricordato a Molto Donna de Il Messaggero la professoressa Fabrizia Giuliani, docente di filosofia del linguaggio e studi di genere all’università La Sapienza di Roma. Anche le parole sono cambiate, «ma mentre in settori come l’insegnamento è uso comune usare professoressa o maestra, c’è voluto più tempo ed è stato più difficile affermare l’utilizzo di parole come ministra, sindaca, deputata. Tanto più si affermerà il calcio femminile, tanto più si femminilizzerà anche la lingua».
In Italia, due anni fa le calciatrici over 97 hanno acquisito lo status di professioniste. Secondo gli ultimi dati del Centro Studi FIGC, dal 2009 al 2022 le tesserate sono aumentate del 105 per cento, da quasi 7mila a oltre 13mila soltanto nella fascia 10-15 anni; in totale, da quasi 19mila a oltre 36mila (+93,9 per cento). Le richieste di nuovi tesseramenti sono balzate da 3.412 (stagione 2009/2010) a 11.278 nel 2021/2022, in primis in Lombardia, Lazio e Toscana. Da qui al 2033 la crescita prevista riguarda anche gli appassionati: più del doppio, per un totale di tifosi di 22,6 milioni. «Certamente», racconta Giuseppe Mustica de Il Messaggero, «la normalizzazione del movimento è pienamente in atto ed è testimoniata anche dagli screzi goliardici tra tifoserie».
Rispetto ai maschi, la distanza salariare rimane ampia: gli stipendi sono la metà dei colleghi di Serie C maschile. Un ambito in cui le donne sono più avanti è quello del coming out: «Negli sport femminili, soprattutto nel calcio, il tema della dichiarazione di omosessualità non esiste», dice Borgese. È una questione di integrità d’immagine da mantenere e «non è un caso che figure professionali come la mia facciano più fatica a lavorare nel calcio rispetto all’atletica o al tennis». Questo stigma va riducendosi grazie alle nuove generazioni di tifosi, sempre più legate via social alle calciatrici. «In un contesto tutto italiano, mentre per i maschi “il pallone rappresenta uno strumento portentoso di costruzione sociale”, creando una condizione di “isomorfismo tra calcio e identità maschile”, l’omosessualità è il più grande dei tabù. Un calciatore omosessuale non è fedele allo status richiesto per il ruolo, “un soggetto massimamente desiderabile, quasi irresistibile, per il genere femminile”», scrive De Luca, citando il sociologo Luca Bifulco e il giornalista Andrea Lamperti. Elena Linari, difensore centrale della Roma femminile, parlò della sua omosessualità già nel 2019 e più volte ha ribadito come l’esperienza all’Atletico Madrid in Spagna l’abbia liberata mentalmente e fortificata. «Ci sono tanti calciatori che si coprono con un’altra relazione, così come qualsiasi altro sportivo per evitare i famosi pregiudizi, in Italia non siamo pronti. Ma poi diciamolo: non è che nel calcio femminile fioccano le omosessuali, proprio no. Gli omosessuali ci sono nel calcio maschile, negli altri sport e nella vita quotidiana», disse a Sara Meini di Dribbling, Rai Due.
Nel calcio maschile italiano fare coming out è ancora un tabù dovuto ai preconcetti esclusivi dei tifosi, confermò due anni fa l’ex calciatore Antonio Cabrini. Jakub Jankto, in forza al Cagliari, nel 2023 dichiarò di essere omosessuale: fu il primo a farlo in attività. «Non sono diverso ma non mi nascondo più», ha detto recentemente a France Football a un anno dal coming out, invitando altri calciatori a fare lo stesso. Eppure «c’è ancora tanta gente che pensa che un omosessuale sia una persona effeminata».
Come riepiloga un articolo accademico della Social Science Research, gli ultimi decenni hanno fatto segnare evidenti miglioramenti sul considerare l’omosessualità un fatto “non sbagliato” nello sport. Ad esempio, nel Regno Unito dagli anni Ottanta al 2010 si è passati dal 14 al 53 per cento. Ma nel calcio continuano a essere molto pochi i giocatori che fanno coming out. Secondo le interviste svolte dai ricercatori Georg Kanitsar e Katharina Pfaff, al netto di percentuali minime di disapprovazione totale dei calciatori gay, «circa il 10 per cento disapprova i giocatori gay che si tengono per mano pubblicamente, il 10 per cento ha detto che non comprerebbe magliette di giocatori di calcio gay e il 12 per cento non starebbe accanto a un compagno di squadra gay in una doccia comune».
L’omofobia nel calcio è un fatto marginale, ma il linguaggio e i comportamenti realmente inclusivi sono ancora poco diffusi. Justin Fashanu, attaccante londinese, si tolse la vita nella capitale inglese nel 1998 per paura di non avere un equo processo dopo una condanna per molestia sessuale negli Stati Uniti. Con i mondiali in Qatar 2022 si è tornato a parlare molto della questione dei diritti Lgbtqia+ e l’ex centravanti Gary Lineker auspicò il coming out di qualche calciatore, dopo aver confessato di conoscerne due in Premier League. Tra le donne, invece, non si può non pensare ad Alisha Lehmann: attaccante svizzera in forza all’Aston Villa, su Instagram ha quasi 17 milioni di follower ed è apertamente bisessuale. Di coming out nel calcio si parla anche in Spagna. Nella Liga, il coming out di Jankto, che nel 2023 giocava con il Getafe, rimane una eccezione. Il governo Sánchez, nel 2021 presentò una proposta per porre fine ai comportamenti contrari alla libertà sessuale nello sport (calcio in testa). Per l’occasione, stimò una presenza di 142 professionisti fluidi e oltre quarantamila in totale. In Germania, invece, recentemente, è sfumato il progetto di Sports Free per agevolare il coming out di alcuni calciatori professionisti il 17 maggio, giornata Internazionale contro l’omofobia, bifobia e transfobia. Il primo calciatore tedesco di spicco a fare coming out fu Thomas Hitzlsperger, dalle colonne di Zeit Online. Era il 2014 e a inizio anno si scriveva che «il coming out nel calcio femminile non è una sorpresa», mentre nel calcio maschile continua a prevalere il sessismo. «L’industria vuole le donne come le immaginano gli uomini», per i quali il calcio è solo loro. «Ci sono molti generi musicali, ma solo due generi», recitava uno striscione esposto a febbraio dalla curva dei neocampioni di Germania del Bayer Leverkusen. In Francia, a fine maggio, il centrocampista del Monaco Camara ha oscurato con lo scotch il logo arcobaleno sulla maglia dedicato alla lotta all’omofobia. L’anno scorso si rifiutò addirittura di giocare, lo stesso ha fatto il mese scorso Mohamed del Nantes. Come si può progredire in queste condizioni?