Care lettrici e cari lettori, permettetemi di presentarmi. Sono stato un caporal maggiore del nucleo Nbc dell’esercito della Polska Rzeczpospolita Ludowa, la Repubblica Popolare di Polonia, durante la guerra fredda. Dopo sminamenti e bonifiche di aree radioattive, mi hanno messo a riposo forzato nella fureria di Prismag, dove ho il compito di tenervi compagnia raccontando storie e curiosità a tema militare.
Il tema della natalità è sempre stato caro alle dittature al fine di creare una popolazione forte, sana, inquadrata politicamente e – soprattutto – numerosa. Come non citare, in Italia, la battaglia delle nascite, portata avanti dal regime fascista a partire dal 1927. La visione conservatrice, antiabortista e contro l’uso dei contraccettivi, che vedeva la donna unicamente dedita alla gestione del focolare domestico e della prole, spinse il Fascismo a introdurre misure per sostenere l’aumento della natalità. Venivano offerti prestiti alle coppie sposate, esenzioni per famiglie con più di sei figli a carico e una tassa sul celibato.
Natalità e welfare in un’Italia che invecchia
Non per ultimo, alle donne furono precluse diverse mansioni, come quella di docente nelle scuole superiori, per recluderle sempre più tra le mura domestiche. L’obiettivo posto da Benito Mussolini era portare la popolazione da quaranta a sessanta milioni entro il 1950. La battaglia si rivelò un fallimento, anche a causa della Seconda guerra mondiale: nel 1950 l’Italia contava quarantasette milioni di abitanti.
Una politica simile alla battaglia delle nascite, ma molto più aspra e rude nei toni e nei metodi, fu messa in campo nella Germania nazista: il progetto Lebensborn. Letteralmente “fonte di vita” o “sorgente di vita”, il piano fu ideato dal gerarca Heinrich Himmler durante la Seconda guerra mondiale. Il programma aveva l’obiettivo di promuovere la crescita della popolazione ariana pura attraverso la nascita di bambini da genitori considerati biologicamente desiderabili secondo gli ideali razziali nazisti.
Questo includeva donne tedesche ritenute fisicamente e geneticamente idonee, ma anche altre provenienti da Paesi occupati, in particolare da quelli scandinavi, che venivano di fatto costrette in cliniche e strutture specializzate per sostenere le madri incinte appartenenti ai criteri razziali stabiliti dal regime. Dopo la nascita, i bambini nati attraverso il programma Lebensborn potevano essere adottati da famiglie tedesche, spesso con una certa preferenza per i membri delle SS e di altre organizzazioni del regime nazista.
Con il processo di Norimberga del marzo 1948 vennero processati e condannati anche i membri dell’Ufficio centrale della Razza e del Popolamento e del progetto Lebensborn. Le conseguenze su madri e figli di questa politica scellerata restarono però a lungo, soprattutto nei Paesi conquistati che subirono la germanizzazione: licenziamenti, segregazione, discriminazione, violenza e appellativi come «donne di Hitler» erano molto comuni e rimasero nell’opinione pubblica per molto tempo.
Ci “leggiamo” alla prossima storia,
il vostro Starszy Kapral Helmut