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L’uomo e altri animali tra coesistenza e dialogo intraspecifico

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L’attività antropica minaccia sempre più l’ambiente che alimenta l’uomo e gli altri animali. Ma forse esiste una possibilità di invertire la tendenza e costruire un dialogo tra specie diverse a partire dalla coesistenza

Se osservando tante cartoline provenienti da varie aree del mondo, prive o meno della presenza umana, ci venisse chiesto di descriverle tutte con una sola parola, potremmo scegliere il termine “biodiversità” ed essere sicuri di non sbagliare. Per definizione, la biodiversità è la capacità degli ambienti terrestri di ospitare specie diverse tra loro, che grazie alla loro presenza garantiscono l’equilibrio e la prosperità di un ecosistema. In un momento storico in cui le trasformazioni climatiche si fanno più repentine, sostenere la biodiversità incoraggiando la coesistenza intraspecifica è un’azione concreta che permette di rivalutare l’ambiente come dimensione in cui tutte le specie, compresa quella umana, cooperano per il benessere globale.

All’interno della riserva naturale regionale Monte Genzana Alto Gizio, che si estende in Abruzzo per oltre tremila ettari e ospita la sottospecie a rischio di estinzione dell’orso bruno marsicano, le nevicate sono diminuite in seguito all’aumento delle temperature. «Non abbiamo evidenze scientifiche basate su ricerche che dimostrino gli effetti dei cambiamenti climatici, tuttavia possiamo fare delle ipotesi su basi empiriche», spiega Antonio Di Croce, direttore della riserva. «Per esempio i fontanili, che con lo scioglimento della neve si riempivano, da circa cinque anni raccolgono acqua solo per un breve periodo. Sono importanti siti di riproduzione di alcuni anfibi ma, seccandosi, la sopravvivenza di queste popolazioni non è più garantita». La minaccia dell’innalzamento delle temperature non è l’unico ostacolo alla protezione della biodiversità.

Con l’espandersi degli insediamenti umani e la diversificazione delle attività produttive, anche la distanza tra uomo e altri animali è cambiata. Compreso nella riserva, il centro storico di Pettorano sul Gizio oggi è poco popolato. Come racconta Di Croce, però, «nel secondo dopoguerra l’entroterra abruzzese era un’area densamente popolata e non c’era di certo una coscienza ecologica. Solo in seguito al recepimento a livello regionale della legge quadro delle aree protette del 1991 è nato anche il sistema delle riserve naturali». La riserva, nata come primo corridoio ecologico nel 1996, «oggi è considerata parte integrante dell’area di distribuzione centrale dell’orso marsicano, con una densità di individui completamente sovrapponibile a quella del Parco nazionale d’Abruzzo. Avendo tra i sette e gli undici esemplari stabili, è necessario costruire e gestire una coesistenza».

Di Croce aggiunge che «nel 2014 un orso, che era solito cercare cibo nelle zone antropizzate, è stato ucciso: i locali avevano perso memoria storica della presenza stabile del grande carnivoro. In seguito all’evento, la direzione della riserva è intervenuta instaurando collaborazioni e interscambi con associazioni locali e nazionali». Così, la riserva è divenuta la prima bear smart community, una comunità a misura d’orso: «Ora la popolazione locale è in grado di recepire e mettere in atto le buone pratiche. Continuiamo il lavoro in rete con i parchi e altre riserve: ora stiamo partecipando al programma Life per creare e mantenere nuovi bear smart corridors in tutto l’Appennino, partendo dal nostro modello».

Per proteggere la biodiversità è necessario modellare la coesistenza tra specie. «L’ingrediente principale per affrontare questa sfida rimane la diffusione della cultura e della conoscenza», commenta Francesco Romito, vicepresidente dell’associazione Io non ho paura del lupo, impegnata nella diffusione di buone pratiche di coesistenza con il lupo, ancora più attiva ora che la specie è stata declassata da rigorosamente protetta a protetta in seguito alla decisione del Comitato permanente della Convenzione di Berna. «È fondamentale educare le comunità locali a comprendere il comportamento del lupo, adottare misure di prevenzione efficaci e sviluppare strategie gestionali basate su dati scientifici». Tra le azioni concrete in atto rientrano il Fondo Coesistenza, con la dotazione e la condivisione di materiale utile per la convivenza, e il progetto Cani Protezione Bestiame.

Quest’ultimo è attuato anche nelle Alpi Orobie bergamasche, in Valle d’Aosta e in Trentino tramite il progetto Pasturs. «Quale altro modo di dimostrare che la coesistenza è possibile, se non sostenendo proprio chi ha più da perdere dalla presenza dei grandi predatori? Per i pastori di alpeggio installare sistemi di prevenzione, anche se forniti dalle amministrazioni, significa svolgere del lavoro ulteriore. Così, dieci anni fa abbiamo iniziato a cercare volontari in tutta Italia», spiega Anna Crimella, della Cooperativa Aliante. Annualmente vengono raccolte le adesioni e i volontari selezionati raggiungono gli alpeggi per installare misure di prevenzione, difesa e protezione del bestiame. «Grazie a questa cooperazione tra mondi lontanissimi, tra chi vive in città e chi in alpeggio, anche il più scettico ha la possibilità di mettere in atto un cambiamento: imparando la vita del pastore o accogliendo persone sconosciute e apparentemente diverse».La coesistenza, non solo tra specie ma anche tra realtà ambientali diverse, nasce con percorsi di informazione e condivisione, creando un dialogo che, tra l’uomo e gli altri animali, si fa intraspecifico e porta ad attuare i valori della biodiversità.

Minacce alla protezione del lupo

A dicembre 2024 la Commissione permanente della Convenzione di Berna, strumento europeo per la conservazione della fauna selvatica e dell’ambiente naturale, ha promosso il declassamento di status di protezione del lupo, da specie rigorosamente protetta a specie protetta. In merito a questa decisione, Romito commenta: «Buona parte della comunità scientifica, inclusa la Large Carnivore Initiative for Europe, si era espressa in modo contrario, sottolineando che il lupo svolge un ruolo ecologico fondamentale e che la sua popolazione, sebbene in buono stato di conservazione in alcune aree, resta vulnerabile in altre». Molte altre realtà, tra cui Wwf e Lipu, hanno espresso parere contrario in merito, presentando anche ricorso affinché la Commissione ripristini lo status di specie protetta. «La storia della conservazione del lupo in Italia dimostra che il recupero della specie è stato possibile solo grazie a decenni di protezione rigorosa: pensare che questo stato sia irreversibile è un errore».

Parla con i lupi e gli orsi: dialogo intraspecifico

Se interspecifica è la comunicazione che si instaura tra individui della stessa specie, quella intraspecifica vede come interlocutori esseri viventi di specie diverse. La comunicazione intraspecifica presuppone la comprensione del significato di alcuni atteggiamenti, che non sempre può essere univoco per entrambe le specie impegnate nel dialogo. La differenza di interpretazione dei segnali può portare all’incomprensione e, di conseguenza, al conflitto. Può avvenire per esempio quando un orso o un lupo si avvicinano ai centri abitati e compiono delle predazioni di animali da reddito: entrambi i carnivori vengono definiti come opportunisti, ossia più propensi a reperire cibo di facile disponibilità piuttosto che da prede selvatiche. Di norma, orsi e lupi non si avvicinano ai centri urbani perché affamati ma per ragioni di comodità. Misure di prevenzione come recinzioni a norma e cani da protezione aiutano la coesistenza pacifica tra uomo e grandi carnivori, dissuadendo questi ultimi dall’avvicinarsi a greggi, mandrie e pollai.

Bear smart corridors (Bsc)

Il progetto pilota Bear Smart Community, della Riserva regionale Genzana Alto Gizio, ha stimolato la creazione di altre comunità a misura d’orso. Tramite il programma europeo Life e in collaborazione con le realtà di Rewilding Apennines e Salviamo l’orso, l’obiettivo è creare corridoi ecologici in cui i cittadini siano consapevoli delle buone pratiche da mettere in atto per prevenire conflitti tra uomo e orso. La nascita del progetto pilota comprendeva «la riduzione del conflitto azzerando i danni. Mappate le fonti trofiche potenzialmente a rischio, come orti, pollai e aree fatiscenti, abbiamo fornito in comodato d’uso recinzioni e porte d’accesso per proteggere queste strutture». Mettendo in atto questa misura preventiva, come racconta Di Croce, e diffondendo buone pratiche per evitare che l’orso potesse avere accesso a fonti di cibo in ambiente antropizzato, la coesistenza è divenuta reale. La diffusione in tutto l’Appennino, e in altre zone d’Europa, di modelli simili permetterà alle comunità di vedere nell’orso non più una minaccia, ma un beneficio.

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