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Georgia: tra proteste giovanili, repressione e l’ombra di Putin

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Elza ha 25 anni ed è tornata in Georgia nonostante la paura del futuro. Tra repressioni, elezioni contestate e un Paese sospeso tra Europa e Russia, i giovani georgiani lottano per la libertà e temono che la guerra in Ucraina sia solo l’inizio

«Vivere in Georgia oggi è molto complicato, soprattutto per noi giovani. Ho fatto un po’ fatica a riabituarmi, ma avevo voglia di tornare a casa». Elza ha poco più di 25 anni, due lauree in Scienze politiche e, dopo aver vissuto per quasi due anni in Italia, quest’estate è tornata a casa sua. Vive a Tbilisi, la capitale, in un piccolo appartamento che divide con il fratello di 21 anni. 

«A dire la verità, in Georgia la situazione è calda da molto tempo. La Russia ha conquistato la parte nord del nostro Paese poco dopo la caduta dell’Unione sovietica e in quei territori di confine c’è sempre stata tensione. Però oggi la vita qui è davvero difficile. Dalle elezioni di ottobre la situazione è degenerata perché le persone, soprattutto i giovani, non sono più disposte a restare a guardare che l’ennesimo presidente filo-russo rovini il Paese». Questo autunno in Georgia (che è un Paese formalmente democratico) si sono tenute le elezioni presidenziali. Uno scontro tra partiti per definire l’identità del Paese e il suo futuro: avvicinarsi all’Unione europea oppure tornare sotto l’ala di Vladimir Putin. Il risultato delle urne è stato un sogno infranto per milioni di persone che sognavano un futuro lontano da quella Russia che li ha sempre dominati. «Erano elezioni piene di speranza, per tutti noi. Credevamo davvero che avrebbe vinto il partito filo-europeo, e forse sarebbe potuto succedere se non ci fossero stati brogli che hanno portato alla vittoria dell’ennesima marionetta di Putin». Sogno Georgiano è il partito che ha formalmente vinto con il 55 per cento dei voti e il nuovo presidente della Georgia è Mikheil Kavelashvili, un ex calciatore noto per le sue posizioni anti-occidentali e la sua vicinanza al regime russo.

Irregolarità alle urne sono state individuate anche dalla missione di osservatori Osce, Nato e Unione europea, che hanno sottolineato pressioni sui votanti. «Nel 24 per cento delle osservazioni», si legge nella nota rilasciata dagli osservatori, «la segretezza del voto è stata potenzialmente compromessa dal modo di inserire le schede nelle urne o dall’allestimento dei seggi». Alla nomina di Kavelashvili sono seguiti appelli di politici a scendere in piazza e manifestazioni continue portate avanti non solo dall’opposizione, ma soprattutto dalla generazione di quei giovani adulti che sognano di vivere in un Paese libero e democratico.

«La mia vita e quella dei miei amici oggi, qui a Tbilisi, è che la mattina andiamo a lavorare o all’università e poi la sera andiamo sotto il palazzo del parlamento per protestare contro questo nuovo presidente. Tutti i giorni, instancabilmente, noi andiamo lì, per dimostrare che non siamo d’accordo con quanto sta succedendo e che noi non siamo dalla parte della Russia». Uno dei problemi più grandi per i manifestanti è la violenta repressione delle proteste da parte della polizia, che utilizza gas lacrimogeni e manganelli. «Conosco molte persone che sono rimaste ferite. Ferite agli occhi, alla fronte, alla testa. Ad esempio, io ho un’amica che va molto spesso alle proteste. Una sera, mentre stava tornando a casa, all’improvviso cinque poliziotti l’hanno circondata e fatta salire in macchina senza dirle dove la stessero portando. Lei ha chiesto per tutto il viaggio dove stessero andando. e uno dei poliziotti le ha risposto: “Finché non arriviamo a destinazione, non lo scoprirai”. Quando sono giunti in caserma, l’hanno interrogata in cinque. Le hanno sequestrato il telefono e probabilmente ci hanno installato un dispositivo di ascolto. Dopo una notte dentro, le hanno fatto una multa da cinquemila lari [poco più di 1650 euro, ndr]». Una cifra che corrisponde a circa tre volte lo stipendio medio di un georgiano. «Voglio sottolineare che non si tratta di proteste violente. Le persone non avrebbero motivo di essere aggressive, è la polizia che reagisce con attacchi violenti contro i manifestanti e un lavoro di schedatura (attraverso i sistemi di riconoscimento facciale) che ti rende la vita impossibile, perché sei continuamente sotto controllo».

Sin dalla caduta dell’Urss, la Georgia è stata spaccata in due: da una parte il movimento nazionalista, che ha promosso l’identità del Paese con una lingua, un alfabeto e una moneta propri; dall’altra l’influenza del governo russo, che non ha mai davvero cessato di esistere. Nelle scuole della Georgia è ancora obbligatorio studiare il russo e la generazione dei genitori di Elza non sa scrivere in alfabeto georgiano. A distanza di oltre trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, le conseguenze del dominio sovietico si vivono ancora tutti i giorni sulla pelle di una generazione che ha assistito al tramonto non glorioso del comunismo e all’inizio di un sistema democratico mai veramente realizzato. «Mio padre è l’ultimo dei suoi amici a essere rimasto vivo. Tutte le persone del suo gruppo avevano sviluppato diverse forme di dipendenza durante l’adolescenza e i primi anni dell’età adulta. Mio padre è nato in Russia, dove ha vissuto fino ai 9 anni. Ci è tornato solo quando ne aveva 17, per combattere nell’esercito sovietico. Sono stati anni molto duri per tutti loro, soprattutto per gli uomini, per cui la leva era obbligatoria. Pativano la fame, il freddo, dormivano per strada, nei campi. Erano tutte persone senza un’educazione o una prospettiva. Così hanno conosciuto la droga o l’alcool, perché bloccavano la morsa della fame che, insieme al gelo che si infilava nelle ossa, non permetteva loro di dormire. Mia madre mi dice sempre che papà non è mai veramente tornato da quel periodo nell’esercito. Che l’uomo che era tornato a casa da lei dopo la caduta dell’Urss non era il ragazzo di cui si era innamorata. E ormai per la sua dipendenza, così come per la sua vita, era troppo tardi».

Il problema, per tanti Paesi dell’ex blocco sovietico, è che vivono in una morsa di dipendenza economica e di continua influenza culturale. «Forse, gli anni che sono passati dalla caduta del Muro e dalla disgregazione dell’impero sovietico non sono ancora abbastanza per sentirci liberi davvero». I georgiani vivono nella paura che, quando l’invasione di Kiev finirà, sarà il loro turno. «La verità è che io sono felice di essere tornata qui, ma non so per quanto potrò rimanere. Nel mio Paese non c’è una vera libertà, viviamo in una specie di assedio continuo e nella paura costante di una guerra d’invasione. E queste elezioni hanno dimostrato che non c’è una vera democrazia. Per me, come per i miei amici e tutte le persone giovani, probabilmente non ci sarà la possibilità di un futuro qui in Georgia».

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