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Cosa succede ai tuoi dati quando muori

L’eredità digitale nell’era dell’intelligenza artificiale ci pone di fronte a nuove sfide etiche e filosofiche

Vladimir Nabokov voleva che il manoscritto incompiuto di The Original of Laura fosse distrutto dopo la sua morte, ma trentadue anni dopo il figlio Dmitri decise comunque di pubblicare l’opera. Emily Dickinson scrisse circa 1800 poesie durante la sua vita ma ne pubblicò pochissime e in forma anonima. Prima di morire, chiese che tutte le sue lettere e le sue opere fossero bruciate ma la sorella Lavinia le conservò, permettendone così la pubblicazione.

I resti della nostra umanità sono ovunque, non solo su carta o dislocati in cassetti e cantine. Le persone vivono online e generano molti più dati rispetto al passato e, soprattutto, lasciano dietro di sé tracce digitali quando muoiono: sia deliberatamente, sotto forma di profili e post sui social media, sia incidentalmente, con ricerche sul web, geolocalizzazioni, registri bancari e così via.

Con la dataficazione delle nostre vite dobbiamo affrontare il fatto che i dati su di noi, molto probabilmente, sopravviveranno al nostro sé fisico. La discussione sull’aldilà digitale solleva quindi diversi interrogativi importanti e interconnessi. Dovremmo avere il diritto di definire le nostre vite digitali postume? La decisione di non persistere in un aldilà digitale dovrebbe essere una nostra scelta. E poi, la decisione di rinunciare a questa possibilità potrebbe davvero essere applicata, considerando quanto sono capillari i dati digitali? La cancellazione è possibile? I dati sono per sempre, noi no.

Siamo arrivati al punto in cui dovremmo domandarci se davvero vorremmo che la nostra voce e la nostra immagine fossero programmate in un dispositivo di assistenza digitale o in un chatbot dopo la morte. Questa prospettiva è passata dall’essere lo scenario di una puntata di Black Mirror al regno delle possibilità e, forse, servirebbe una sorta di testamento digitale per gestire la volontà dei defunti. 

Dataficazione: cosa faranno i nostri dati dopo di noi?

Nel 2022 Amazon ha annunciato di stare sviluppando una funzione per far sì che il suo assistente virtuale, Alexa, potesse essere programmato per parlare con la voce di un parente defunto. Ha persino realizzato un video in cui un ragazzo chiede ad Alexa di leggergli Il mago di Oz con la voce della nonna defunta. I chatbot sono progettati per cementare il rapporto commerciale degli utenti con le aziende che li creano e quindi è improbabile che siano scontrosi o compiano una delle innumerevoli azioni irritanti – ma profondamente umane – che fanno le persone nel corso di relazioni durature.

I dati sono una creazione delle persone o un analogo digitale di un corpo fisico? Se i dati sono una nostra controparte digitale, quali obblighi impongono ai vivi? Dopotutto, la maggior parte delle culture è contraria a lasciare semplicemente un cadavere all’aperto a decomporsi, anche se non viene più utilizzato. I dati richiedono la stessa riverenza? Non si tratta solo di questioni per gli individui, ma anche per la società. Gli storici e i filologi studiano gli scritti privati di personalità celebri e di comuni mortali perché la luce che tali documenti possono collettivamente gettare sul passato dell’umanità supera i desideri del defunto proprietario. I dati, anche quelli delle persone comuni, sono diventati il più grande archivio della storia umana. Grazie alla dataficazione, questa immensa raccolta di informazioni sul nostro comportamento è un patrimonio collettivo e, come tale, potrebbe essere oggetto di una responsabilità condivisa. Stabilire precisamente cosa significhi questo nella pratica, però, è complicato e ancora in via di definizione.

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