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Il cambiamento climatico e le prossime elezioni presidenziali

I cittadini statunitensi dovranno scegliere chi votare anche sulla base di quanto conta il clima per loro

Il 12 dicembre 2015 a Parigi venne firmato un accordo sul clima da parte dei 195 Stati che rappresentavano il 98 per cento dei gas serra emessi a livello globale. L’accordo entrò in vigore il 4 novembre 2016 e da allora ha influenzato l’agenda politica di Stati e politici. Tra gli obiettivi delineati nella campagna elettorale di Hillary Clinton, candidata democratica alle elezioni presidenziali statunitensi del 2016, la lotta al cambiamento climatico è stato uno dei più importanti. Nel 2020 il candidato democratico alle elezioni presidenziali era Joe Biden, attuale presidente degli Stati Uniti e uno dei più attivi sul clima. Biden ha contribuito alla riammissione degli Stati Uniti nel trattato sul clima di Parigi (abbandonato da Trump) e ha annunciato più di 4,3 miliardi di dollari di concessioni per limitare i danni del cambiamento climatico il giorno in cui ha deciso di non candidarsi per un secondo mandato da presidente. Oggi la candidata democratica è Kamala Harris, attuale vicepresidente degli Stati Uniti, che ha collaborato alle politiche ambientali ed energetiche del governo Biden ma che non ha ancora rilasciato un piano dettagliato delle iniziative che intende promuovere per contrastare il cambiamento climatico. Il candidato repubblicano è invece Donald Trump, già presidente degli Stati Uniti prima di Biden, che cerca la rielezione con una politica ambientale praticamente assente.

Nella prima intervista da candidata democratica rilasciata sulla rete televisiva statunitense CNN, Harris ha detto di non voler limitare il fracking (metodo di estrazione di gas e petrolio tramite la trivellazione della terra in profondità e il rilascio di una miscela ad alta pressione di acqua, sabbia e sostanze chimiche): «Ho già detto durante il dibattito del 2020 che non avrei vietato il fracking. Da vicepresidente non ho vietato il fracking. Da presidente non vieterò il fracking». Lo stesso Donald Trump, che ha accusato Harris di voler invece porre fine a questa pratica, è a suo favore. . Eppure è un metodo di estrazione invasivo molto discusso negli Stati Uniti: le aziende petrolifere statunitensi non hanno neanche bisogno di permessi per trivellare i loro terreni e possono farlo quando vogliono. Come riporta il New York Times, oltre a danneggiare la terra stessa, il fracking può richiedere fino a più di 151 milioni di litri d’acqua per un singolo punto d’estrazione. In alcuni distretti statunitensi è possibile che entro il 2030 la richiesta di acqua per le pratiche di fracking possa superare quella dell’irrigazione. Nonostante ciò, Harris è convinta di poter «far crescere e incrementare un’economia fondata sull’energia pulita e florida che non richieda il divieto di fracking», come ha affermato nell’intervista alla CNN.

Il clima nelle campagna elettorale per le elezioni USA

Durante la sua carriera da procuratrice Harris si è occupata di far rispettare le leggi sul clima nello Stato della California e ha denunciato le aziende petrolifere per i danni provocati all’ambiente. Da vicepresidente, Harris ha agevolato il percorso legislativo dell’Inflation Reduction Act, una legge federale che ha anche l’obiettivo di investire nella produzione di energia a livello nazionale e allo stesso tempo promuovere l’energia pulita. Non è ancora definita l’agenda ambientale che Harris intenderà portare avanti in un eventuale mandato da presidente, ma è chiaro quello che Trump farebbe in caso di rielezione. Come riportato da Reuters, il tycoon ha l’obiettivo di massimizzare la produzione di energia e combustibili statunitensi, smantellando in parte il lavoro svolto dall’amministrazione di Biden e Harris per combattere il cambiamento climatico. Nonostante le convinzioni infondate da parte di Trump sulla necessità di dover produrre più petrolio e gas, il mandato dei democratici ha coinciso con gli Stati Uniti al primo posto per la produzione di petrolio e gas.

Un altro tema importante della campagna elettorale riguarda i veicoli elettrici: secondo Statista nel 2020, l’ultimo anno del mandato presidenziale di Trump, le vendite di veicoli elettrici e ibridi ammontavano a circa 320.000 unità. A distanza di quattro anni, nell’ultimo anno del mandato presidenziale di Biden, queste sono più di un milione e quattrocentomila, a dimostrazione di come le politiche di transizione energetica attuate da Biden abbiano spinto gli statunitensi ad acquistare molte più auto elettriche e ibride. La posizione del repubblicano su questi veicoli è in linea con il suo pensiero conservatore: in un discorso pronunciato il 5 settembre 2024 a New York, Trump ha affermato di voler mettere fine al periodo delle auto elettriche. Una posizione piuttosto bizzarra, considerato il recente rapporto di enorme e reciproca ammirazione tra lui ed Elon Musk, il fondatore del colosso di auto elettriche Tesla, il quale gli ha ufficialmente dato il proprio supporto qualche settimana fa.

La vittoria alle prossime elezioni presidenziali di Donald Trump porterebbe dunque a un arresto deciso delle politiche di transizione energetica: niente più auto elettriche, niente supporto alla produzione di energie rinnovabili ma massimo sostegno all’industria petrolifera. Come riportato dal Guardian, la rielezione di Trump avverrebbe in un momento in cui il mondo ha bisogno di un cambiamento repentino, un’accelerazione per tamponare quanto fatto dal genere umano nel corso dei secoli. Un nuovo governo statunitense guidato dal repubblicano porrebbe le basi per il totale disinteresse nei confronti della scienza e per un ulteriore aggravamento delle condizioni ambientali. Sempre secondo il Guardian, quello che accade in questi anni potrà avere effetti duraturi e che saranno visibili anche tra un milione di anni. 

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