«Ah, ma non sembri una scienziata». È una tra le tante affermazioni che si è sentita rivolgere Nicole Ticchi, comunicatrice scientifica, nei suoi anni di ricerca in chimica farmaceutica.
All’inizio della sua carriera, nel 2017, questo l’ha spinta a fondare un progetto a lungo termine per valorizzare l’apporto delle donne alla scienza, svincolando le competenze scientifiche dall’immagine che ogni donna vuole mostrare di sé. Il progetto ha piano piano preso forma, diventando dal 2021 un’associazione strutturata: She is a Scientist. In questi anni, l’associazione ha proposto eventi nelle scuole, nelle università e nelle aziende per creare consapevolezza sui fattori che influenzano l’equità nella scienza e ha tentato di creare una rete di socie che modifichi la narrazione corrente sulla presenza delle donne nella scienza.
Per costruire una scienza più aperta è necessario incentivare una comunicazione costruttiva: «La scelta è stata quella di far vedere il più possibile donne, ragazze, persone di scienza, per uscire dall’iconografia classica dello scienziato e scienziata eroi, necessaria per rappresentare anche aspetti molto più noiosi e quotidiani», spiega Ticchi.
In questo contesto si inseriscono le campagne proposte dall’associazione in occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, che cade l’11 febbraio di ogni anno. Per contribuire alla visione di «scienza non vista come un’entità, ma come mezzo che ogni persona può utilizzare per emanciparsi, per crescere, per migliorarsi, e anche per migliorare l’ambiente che ci sta intorno», quest’anno l’associazione ha proposto una campagna in tutto il mese di febbraio. Il direttivo dell’associazione ha puntato a coinvolgere in maniera corale le socie, per favorire la partecipazione e il contributo di tutte le persone all’interno dell’associazione. Il motto scelto, «Science, Humans, Equity», ha un duplice obiettivo: «sensibilizzare all’esterno, formare e creare ancora più coesione all’interno, fornendo strumenti di empowerment personale per le socie».
Secondo l’Indice delle norme sociali di genere delle Nazioni Unite del 2024, che quantifica i pregiudizi nei confronti delle donne nelle dimensioni politiche, educative, economiche e fisiche, quasi il 90 per cento degli intervistati ha pregiudizi fondamentali nei confronti delle donne. Questo si riversa anche nel mondo della scienza. I dati Focus gender gap 2024 di Alma Laurea mostrano come, nonostante si laureino prima e con voti migliori, le donne faticano a trovare riconoscimento e pari opportunità nel mondo del lavoro e della ricerca.
Per colmare il gender gap non ci si può basare solo sull’uguaglianza numerica: la campagna cerca di dare un’idea di «parità di rappresentazione nelle varie posizioni. È una diversificazione che dovrebbe interessare tutti, perché può portare a una grande quantità di dati, soluzioni e studi offerti dalla scienza».
La campagna è un esercizio di stile per celebrare le differenze, creando comunità scientifiche plurali. Pluralità, intesa come «via di apertura per le conoscenze umanistiche e sociali e come condizione indispensabile per la costruzione non solo di un sapere più ricco e strutturato, ma anche di un apparato di indagine più robusto per non perdere di vista l’obiettivo che dovrebbe avere la scienza: essere una parte integrante della vita di tutte le persone».
Un pensiero che rientra nel concetto di intersezionalità, introdotto circa quarant’anni fa dalla giurista e attivista statunitense Kimberlé Crenshaw per chiarire i contorni dell’oppressione delle donne afroamericane. Questo termine è ora in prima linea nelle discussioni sulla giustizia razziale e sulle politiche identitarie e di genere, e si inserisce in una concezione di scienza che è nelle mani e al servizio delle persone.