Raccontare il passato per capire meglio il presente e affrontare il futuro con rinnovata sicurezza. A questo e molto altro serve la musica popolare, custode delle tradizioni dei popoli e mezzo attraverso cui le genti in tutto il mondo hanno trasmesso ai loro figli conoscenze, usi e costumi dalla notte dei tempi.
La musica popolare nasce con i suoni e i ritmi delle prime tribù, utilizzati in quel contesto come forma di insegnamento; le prime forme di musica popolare in Italia, invece, sembrano attestarsi nel diciannovesimo secolo, quando la penisola divenne Stato, oltre che nazione.
Sarebbe errato però considerare la musica popolare come un fenomeno univoco sull’attuale territorio nazionale. Per via della sua peculiare storia e conformazione fisica, oltre che per le numerose dominazioni di popoli stranieri susseguitesi nei secoli precedenti all’unificazione, l’Italia presenta stili musicali a sé stanti.
La musica popolare in centro Italia
Chiara Ciciotti canta nel coro Agorà 81 di Capistrello, in provincia dell’Aquila. «Per me il canto è soprattutto condivisione, che si trasmette con lo sguardo e con le voci che all’unisono trasmettono la forza dei testi», ci spiega. Nella Marsica, zona montana di cui Capistrello è tra i centri principali, i temi del canto popolare ruotano tutti attorno alla questione amorosa. «Si parla di giovani innamorati che non hanno possibilità di incontrarsi se non nel momento del lavoro nei campi, quando gli occhi di tutti sono altrove e non su di loro». L’attività di Agorà 81 non si limita ai canti: spesso, infatti, vengono rappresentati anche balli popolari. «Uno dei più famosi è il laccio d’amore, danza tipica dei matrimoni d’epoca, che si svolgeva con un laccio sotto il quale venivano posti gli sposi: se l’intreccio dei nastri riusciva a essere sciolto dai ballerini, il matrimonio si prospettava pieno di frutti e duraturo».
Le voci sono accompagnate da strumenti. «Gli strumenti musicali utilizzati sono quelli classici della musica folkloristica e popolare, come la fisarmonica e il tamburello, accompagnati per la maggior parte delle volte dalla tammorra, uno strumento a percussione costituito da una cornice che sorregge una struttura in pelle, il cui suono scandisce con più prepotenza il ritmo della musica; dal triccheballacche, formato da due parti in legno che vengono battute su una parte ferma, sempre in legno, sulle quali sono presenti sonagli simili a quelli dei tamburelli; dalla caccavella, strumento membranofono a percussione. Ultimi, ma sicuramente non per importanza, ci sono il du botte o l’organetto, molto simili tra loro ma con strutture leggermente diverse».
Il canto popolare trentino
Luca Baz è un ragazzo trentino in forze al coro Genzianella di Roncogno, in provincia di Trento. «Per me il canto è libertà, puro divertimento», ci dice. «Non c’è cosa più bella di viaggiare e di cantare con la propria famiglia. Senza, non potrei vivere». Per Baz il coro rappresenta una seconda famiglia, come la definisce lui, «di amici».
Il canto popolare del nord Italia, del Trentino in particolare, è pensato per essere cantato a cappella, senza strumenti, con il solo sostegno delle diverse voci prodotte dai membri del coro. I temi trattati si dividono principalmente in tre. «Le leggende del Trentino, come la regina Tresenga, che racconta il motivo delle acque rosse del lago di Tovel; poi i paesaggi, in cui si raccontano le montagne, le vallate, i nostri paesi. Un altro tema importante è rappresentato dai canti alpini, che raccontano le storie della Prima guerra mondiale, della vita in trincea, oltre che delle tradizioni».
La musica popolare sui social
Baz, inoltre, è da poco diventato una star dei social nel campo del canto popolare: è seguito da più di 87mila persone su Instagram. «L’idea di cantare sui social è nata per puro caso e per divertimento. Il primo canto è stato fatto nella mia stube [il soggiorno tipico delle case trentine, ndr] insieme a mio cugino che cantava e filmava. A inizio dicembre abbiamo caricato il primo post, che è andato molto bene. La popolarità è poi esplosa con il canto di La Valsugana, che ha raggiunto due milioni e mezzo di visualizzazioni. Fatico io stesso a spiegarmi questa viralità».
Come reagiscono le persone a questo tipo di contenuto che potrebbe dirsi inusuale? «Ero titubante nel postare video sui social per la paura delle possibili reazioni negative, soprattutto dei giovani. Invece sono stati soprattutto i giovani a farmi crescere la voglia di continuare questo percorso, caricando altri video, e di continuare il percorso di divulgazione su questo mondo. I commenti negativi poi ci sono e ci saranno sempre, ma non mi disturbano. Fanno parte del gioco».
Nella complessa velocità del mondo odierno, alcune tradizioni resistono e, nonostante tutto, saldano ancora oggi la presa sul cuore e sull’animo della gente e del popolo. Questo risultato è coadiuvato, se non direttamente alimentato, da un significato più profondo, che non si limita a offrire bellezze da copertina, ma scende nei meandri dell’animo umano. A dimostrazione di come i social, con tutte le loro storture, possano essere anche uno strumento di profonda divulgazione culturale.