«Questa è, o meglio era, l’azienda di mio padre e mio fratello». Giulia ha venticinque anni, studia giurisprudenza ed è nata a Faenza. Mentre parla, ci porta dentro l’autorimessa di suo padre, mesi dopo l’alluvione che ha interessato la sua città. Il fango ha ricoperto anche le pareti, lasciando un segno indelebile. Le scrivanie sono ribaltate, ci sono gomme e attrezzi per le macchine sparsi ovunque, fogli per terra. Tutto è ricoperto di fango, anche le poche cose che hanno cercato di salvare ammucchiandole sul ciglio della strada. «Sono qui ad aiutarli perché devono smontare tutti i mobili, sperando che l’acqua e il fango abbiano risparmiato qualcosa, e trovare un altro posto. La verità è che è stata una scelta nostra, nessuno ci ha obbligato a trasferire il negozio, ma abbiamo paura, il fiume è davvero vicino e dopo l’altra notte non ce la sentiamo più di rimanere qui».
684 allagamenti, 166 esondazioni di fiumi, 86 frane, tutte conseguenza di piogge intense: l’acqua è al centro della crisi climatica, soprattutto in Italia.Dal 2010 al 31 ottobre del 2023, nel 41,9 per cento degli eventi catastrofici che hanno colpito la penisola, l’acqua è stata la protagonista.
Eppure il problema non è dato solo dalla sua abbondanza, ma anche dalla sua mancanza. L’inverno 2021-2022 è stato dichiarato dalla Società meteorologica italiana (Smi) «tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni». La siccità ha portato a una serie quasi ininterrotta di allerte e stati di emergenza, creando un forte impatto sul settore agricolo. I due elementi appena delineati sembrano in conflitto tra loro, eppure è questa la caratteristica principale della situazione emergenziale in cui l’Italia si è ritrovata, stritolata dalle conseguenze della crisi climatica: siccità combinata a forti ondate di piogge concentrate in alcune aree. Una doppia, e apparentemente opposta, emergenza che delinea un quadro grave in cui è diventato necessario adottare misure di contrasto e prevenzione del fenomeno.
L’Italia è un paese a elevato rischio idrogeologico, come dimostra la piattaforma IdroGEO dell’Ispra, che ha lo scopo di monitorare il dissesto idrogeologico nel nostro Paese.Come si evince dai dati riportati, oggi sono 6,8 milioni le persone che vivono in aree a rischio alluvione (almeno rischio medio) e 1,3 milioni in zone definite «a elevato rischio di frane e smottamenti». Sono 7.423 i comuni con almeno un’area classificata a elevato rischio per frane, alluvioni o erosioni costiere. Si tratta del 93,9 per cento dei comuni italiani e del 18,4 per cento del territorio nazionale.
Il rapporto di Legambiente analizza la situazione attuale, alla luce degli ultimi due anni. L’Italia è per sua natura fragile ed esposta al rischio di dissesto idrogeologico, frane e alluvioni, ma questi fenomeni naturali negli ultimi decenni si sono amplificati oltre misura. Le cause vanno rintracciate in due fenomeni principali, entrambi riconducibili all’attività dell’uomo: il consumo del suolo e il cambiamento climatico. Nel primo caso si parla di un processo di edificazione esagerata e compiuta in zone non adatte, come le anse dei fiumi. Il secondo fattore riguarda invece una quantità così alta di emissioni nell’atmosfera che, accelerando il cambiamento climatico, stanno causando un disequilibrio nella distribuzione delle piogge durante l’anno, in cui a prolungati mesi di siccità si alternano poche ore di violente precipitazioni che il territorio – cementificato e impermeabilizzato – non è più in grado di regolare.
«Noi siamo molto bravi nell’emergenza», ha dichiarato il climatologo del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) Antonello Pasini durante la trasmissione Dove Siamo di SkyTg24. «La nostra protezione civile è un fiore all’occhiello dell’Italia, ce la invidiano tutti quanti nel mondo. Ma siamo un pochino più carenti per quello che riguarda la prevenzione».
L’evento simbolico di questo disastro climatico è l’alluvione in Emilia-Romagna. Dal 2 al 18 maggio 2023 sono caduti oltre 4,5 milioni di metri cubi di acqua. Nei sei giorni in cui le due ondate di maltempo sono state maggiori (la prima dal 2 al 5 maggio, la seconda dal 16 al 18) ha piovuto per un totale di ottanta ore. E le conseguenze non hanno tardato a presentare il conto: quindici i morti, trentaseimila gli sfollati e circa nove miliardi di euro di danni. Il 15 dicembre è uscito il rapporto di oltre centocinquanta pagine redatto dalla Commissione tecnico-scientifica incaricata dalla Regione Emilia-Romagna che fornisce un dato: gli eventi di maggio hanno la probabilità di verificarsi una volta ogni cinquecento anni. «Dobbiamo prepararci ad allagamenti su scala ampia per salvaguardare i centri abitati», spiega il coordinatore dello studio, Armando Brath, docente di Costruzioni Idrauliche, Marittime e Idrologia all’Università di Bologna. Secondo lo studioso, sono necessarie opere di prevenzione per il dissesto idrogeologico, come l’inondazione controllata di alcune zone del territorio. «Un’alluvione senza precedenti, da quando si raccolgono i dati, cioè dal 1921, e ancora più severa di quella del 1939», aggiunge la vicepresidente e assessora all’Ambiente, Irene Priolo.
«Noi», ci spiega Andrea Gavazzoli, portavoce dell’Autorità del Distretto del Po, «avevamo già mandato al governo Renzi una serie di interventi che avrebbero dovuto essere messi in atto a seguito di un’attenta valutazione delle fragilità del territorio. Stiamo parlando di una ripianificazione alla luce di dati geologici e geomorfologici puntuali, che significa andare a rivedere del tutto il sistema di edificazione fino a ora e da lì poi intervenire sugli equilibri del consumo del suolo e le fragilità del territorio preso in considerazione. Quello che noi abbiamo indicato come necessario non è solo fare opere nuove o fare una ripianificazione, ma anche fare la manutenzione dell’esistente».
«La notte del 16 maggio l’acqua è arrivata così in fretta che non abbiamo avuto il modo di capire in tempo cosa stava succedendo». Sabrina sta svuotando la sua casa, in via Pellico, una delle strade più colpite del comune di Faenza. Con l’aiuto del marito, spera di trovare qualcosa che non è stato eroso dall’acqua. «La violenza con cui è arrivata è stata tale che siamo dovuti scappare ai piani superiori. Dalle dieci di sera alle quattro di mattina siamo stati seduti sul tetto ad aspettare i soccorsi. Mai mi sarei immaginata di dover scappare da casa mia su un gommone, aiutata dalla protezione civile e dai carabinieri. La verità è che ora non so come fare, non so dove andare, ho perso tutto».
Il tema del dissesto idrogeologico sta finalmente iniziando ad avere un ruolo maggiore nel dibattito pubblico, anche rispetto alle polemiche sulle azioni assunte dai vari Paesi che hanno partecipato alla recente Cop28, eppure questo non sembra smuovere il governo italiano dalla sua incapacità di destinare fondi di prevenzione. Nemmeno all’interno del pacchetto di finanziamenti provenienti dall’Unione Europea, il Pnrr, il tema del dissesto idrogeologico ha trovato uno spazio a sé. «Sembra che i governi siano a corto di soldi, o che comunque le priorità siano diverse», commenta Gavazzoli. «Una delle necessità più importanti è quella di fare prevenzione,non reagire soltanto quando c’è una emergenza».
Facendo un quadro delle alluvioni degli ultimi vent’anni, il conteggio totale delle vittime arriva a centoundici. Andando a ritroso nel tempo, gli eventi più catastrofici sono stati cinque: Emilia-Romagna nel 2023; Marche e Umbria nel 2022; l’isola di Ischia, nello stesso anno; Liguria (Spezzino e Lunigiana) nel 2011, Sardegna nel 2013 e poi l’alluvione nel messinese (Sicilia) nel 2009, a oggi la più tragica, con circa quaranta vittime. Dati che ridefiniscono gli attributi degli italiani: da popolo di «santi, poeti navigatori» a popolo di profughi delle calamità.