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La Consultoria: il valore degli spazi transfemministi

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A Padova la chiusura di un consultorio pubblico nel 2019 ha sollevato interrogativi sul futuro degli spazi dedicati alla salute e al benessere collettivo, soprattutto delle donne. Da quella chiusura è nata la Consultoria, un luogo di riappropriazione e autogestione, sgomberata a dicembre per far posto a un progetto di co-housing. Come si può rispondere ai bisogni sociali ed evitare che esperienze di cura collettiva come questa non vadano perse?

In via Salerno, a Padova, c’era un consultorio in un immobile di proprietà dell’Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale). Nella primavera del 2019, però, questo presidio socio-sanitario è stato chiuso. Ufficialmente, le sue funzioni sono state spostate in un’altra struttura ma, di fatto, questo cambiamento ha privato un quartiere di un servizio di prossimità. La chiusura del consultorio di via Salerno è uno dei sempre più numerosi casi di “riorganizzazione” che coinvolgono i consultori familiari in Italia a causa della carenza di personale e di fondi, a cui si aggiunge una chiara volontà politica. Dopo la chiusura e lo smantellamento questa storia è scomparsa dal dibattito pubblico. Se ne torna a parlare l’8 marzo scorso quando una parte del corteo transfemminista fa una deviazione e il nodo territoriale di Padova dell’assemblea femminista e transfemminista Non Una Di Meno (Nudm) occupa l’ex consultorio di via Salerno. «La scelta politica è ricaduta sull’occupazione di quel consultorio come simbolo: uno spazio sottratto alla collettività, emblema delle politiche neoliberiste di ristrutturazione della sanità pubblica a partire dagli spazi delle donne», afferma Cecilia, militante Nudm Padova. Da sempre l’impegno politico è legato alla necessità di trovare uno spazio, una casa comune, in cui radicare le proprie attività, incontrarsi e costruire relazioni. È proprio per questi motivi che l’occupazione di via Salerno diventa il luogo stabile del progetto Consultoria, dove nel corso dei mesi si alternano laboratori sulla salute, cerchi di parola ma anche – una volta a settimana – uno sportello di ascolto psicologico e uno sull’accesso all’aborto

Il concetto di free spaces, formulato nel 1992 da Sara Evans e Harry Boyte, indica quegli spazi liberati che rendono possibile la partecipazione delle persone, spiega Giada Bonu Rosenkranz in Bruci la città. Generi, transfemminismi e spazio urbano. L’idea di free space costituisce un punto di partenza per comprendere gli spazi transfemministi: «Spazi su piccola scala sottratti dal controllo dei dominanti, del governo locale e in alcuni casi del sistema di produzione, nei quali le persone sviluppano la propria capacità di azione collettiva, hanno spazio e tempo di ragionare insieme, preparano forme di mobilitazione e protesta orientate al cambiamento sociale». Con la Consultoria, Nudm mette al centro legami, esperienze e relazioni attraverso un approccio partecipato.

«Questo progetto è uno strumento di rivendicazione politica, cioè di richiesta nei confronti delle istituzioni: ci serve per riattivare il dibattito pubblico e la mobilitazione sui consultori». La militante sottolinea anche il valore dell’esperienza di autogestione della salute: «Noi non offriamo servizi, non siamo un ente pubblico. Le attività sulla salute sono autogestite e rispondono a bisogni, oltre a creare consapevolezza politica». Il Veneto è tra le tre realtà con la più bassa diffusione di sedi di consultori sul proprio territorio a livello nazionale. L’ultima indagine dell’Istituto superiore di sanità (che si riferisce a dati 2018-2019) mostra come in Veneto sia presente una sede ogni 49.817 residenti (in linea con quanto stabilito dalle linee guida regionali per il servizio di consultori familiari del 2010, ossia uno ogni 40mila o 50mila abitanti), nonostante  secondo il gold standard nazionale dovrebbe essere garantito un consultorio ogni 20mila residenti.

La Consultoria riesce «a comunicare con persone che normalmente non frequentano gli spazi della militanza», dice Cecilia che evidenzia anche la dimensione intergenerazionale e trasversale da un punto di vista di classe e razza delle persone che si sono avvicinate, che sostengono e abitano questo spazio. A un certo punto, però, «uno spazio apertamente femminista e che crea socialità» inizia a dare fastidio a qualcuno e la Consultoria diventa bersaglio di «una serie di attacchi: striscioni requisiti, piante danneggiate, lampade a olio buttate a terra». Queste prime azioni non vengono rivendicate da nessuno, ma segue la comparsa di alcune svastiche sull’arredo esterno. Le attività continuano costanti fino al 12 dicembre quando Ater, proprietaria dell’immobile, accompagnata dalla questura, procede allo sgombero cambiando le serrature, nonostante fosse in corso una trattativa con il Comune per avere uno spazio adeguato a dare continuità al progetto. «Un’azione avvenuta in sordina, perché chi ha sgomberato la Consultoria sa di essere colpevole di aver privato la città di un presidio di salute autogestito e di uno spazio di contrasto alla violenza di genere», denuncia Cecilia.

Lo sgombero è stato messo in atto per fare posto a un co-housing, i cui capifila sono il comune di Padova e Ater, nell’ambito di finanziamenti sia italiani che europei. Il progetto è volto al recupero edilizio di alloggi sfitti di edilizia residenziale pubblica per creare otto alloggi in grado di ospitare due persone ciascuno. Secondo Nudm Padova, le criticità del co-housing sono diverse: «È una soluzione che pretende di rispondere alla precarietà abitativa garantendo pochi posti e in modo temporaneo. Inoltre, è una soluzione predisposta dall’ente che è il principale colpevole della precarietà abitativa a Padova e in Veneto. Infine, perché fare un co-housing e non investire nell’edilizia residenziale pubblica?».
Nonostante lo sgombero, il progetto della Consultoria non si è fermato e al momento si trova a dover svolgere le sue attività in appena due stanze: è la soluzione migliore che il comune è riuscito a offrire finora. Nudm Padova è determinata a ottenere uno spazio che sia adeguato alle esigenze delle persone che attraversano la Consultoria. Cecilia fa una riflessione più ampia, ragionando su come il caso locale di Padova vada inserito all’interno del contesto nazionale: «Lo sgombero degli spazi occupati fa parte del ddl sicurezza. La repressione del dissenso c’è sempre stata, ma ora ha strumenti legali ancora più potenti».

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