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La trappola della povertà che reprime il potenziale umano

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Disuguaglianze, debito e politiche fiscali inique alimentano la repressione che imprigiona milioni di persone nella povertà. Un viaggio nelle radici di un sistema che ostacola il progresso e premia il privilegio

La trappola della povertà non esiste, secondo chi non ha un piede dentro la tagliola. Il sistema in cui viviamo si regge infatti sulla convinzione che a tutti vengono forniti gli strumenti per avere successo. Corollario: chi ce l’ha se l’è meritato e chi non ce l’ha non si è impegnato abbastanza. Eppure è pieno di mediocri che dirigono aziende perché nati nella “famiglia giusta” o di persone brillanti che hanno potuto esprimersi solo grazie alle migliori scuole, i migliori contatti e le migliori opportunità garantite da un famiglia facoltosa e ben inserita.

Per converso, avremo tutti il ricordo di quel compagno di classe geniale che non ha proseguito gli studi perché aveva la necessità di portare a casa un’entrata, o quel collega meritevole che non ha fatto carriera perché non poteva trasferirsi lontano dalla famiglia in difficoltà. O, cosa più probabile, un amico dal grande potenziale che non è mai sbocciato perché cresciuto in un ambiente nel quale la repressione economica ha annientato la sua autostima, la sua ambizione, la sua intraprendenza. Perché la trappola della povertà esiste, e incide sulla vita di milioni di persone

È un fenomeno subdolo e stratificato, nel quale disuguaglianze, debito e politiche fiscali inique si intrecciano creando un sistema che schiaccia le fasce più vulnerabili della popolazione, impedendo loro di sfuggire alla povertà. Figuriamoci di competere ad armi pari con chi sta sopra. Queste dinamiche si rafforzano a vicenda, lasciando chi è in difficoltà sempre più escluso dal progresso economico e sociale con la scusa che, comunque, c’è chi riesce a farcela. Il che è vero: l’impegno individuale per migliorare la propria condizione è uno dei più importanti fattori per il progresso della società. Tuttavia, chi ce la fa non ci riesce grazie a un sistema che parifica le condizioni di partenza, ma nonostante un sistema che fa l’esatto opposto. 

La disuguaglianza economica è il sintomo, non la causa della trappola della povertà

Partiamo da un fatto: le disuguaglianze economiche sono sempre esistite. Tuttavia, negli ultimi decenni si sono inasprite. Secondo il World Inequality Report, il 10 per cento più ricco della popolazione mondiale detiene il 76 per cento della ricchezza totale, mentre la metà più povera ne possiede solo il 2 per cento. Negli Stati Uniti la disparità salariale è cresciuta a ritmi sempre più rapidi: secondo dati dello US Bureau of Labour Statistics e del Economic Policy Institute, dal 1980 a oggi il divario tra i salari dei lavoratori meno qualificati e quelli dei dirigenti aziendali è aumentato in maniera considerevole, mentre in Italia – secondo il rapporto del 2023 Disuguitalia realizzato da Oxfam – il 5 per cento più ricco della popolazione detiene più ricchezza dell’80 per cento più povero

Il guinzaglio del debito

Il debito è un fardello economico e psicologico che rappresenta uno degli ostacoli più subdoli per chi vive in condizioni economiche precarie. Durante la pandemia è diventato una realtà sempre più diffusa, colpendo interi segmenti di popolazione che mai avrebbero immaginato di dover fare affidamento sui prestiti per sopravvivere. Ad esempio, molte famiglie italiane hanno dovuto sottoscrivere piani rateali per pagare le bollette, impegnando i propri redditi futuri per la sussistenza nell’immediato, con un picco di 4,7 milioni di italiani che hanno saltato i pagamenti durante il caro energia del 2022, secondo un’indagine di mercato di mUp Research e Norstat.

Al di là dell’Atlantico, il debito studentesco continua a rappresentare una crisi sistemica: secondo dati del Pew Research Center, nel giugno 2024 il debito studentesco ha raggiunto gli 1,6 trilioni di dollari, con un aumento del 42 per cento negli ultimi dieci anni.

Il peso del debito rende quasi impossibile per i giovani non abbienti pianificare il proprio futuro con serenità. Per i genitori di millennial e Gen Z comprare una casa e avere figli erano obiettivi alla portata di una normale coppia operaia monoreddito sotto i trent’anni, mentre oggi chi non ha un patrimonio di famiglia alle spalle deve aspettare una stabilizzazione lavorativa che ormai arriva ben oltre i trent’anni. Ciò rende possibile acquistare una casa – a carissimo prezzo in proporzione agli stipendi medi, rispetto alle generazioni precedenti – solo contraendo debiti che dureranno per tutta la vita lavorativa, nella quale si dovrà poi competere con una palla al piede economica e psicologica che gli omologhi più abbienti non avranno. Una sfida impari, sotto molteplici aspetti. 

Il fisco e la responsabilità dello Stato

Le politiche fiscali sono uno dei fattori principali che perpetua le disuguaglianze. Secondo il Global Tax Evasion Report dell’Osservatorio fiscale europeo, pubblicato nel 2023, la ricchezza finanziaria offshore detenuta da individui ammontava a 12.000 miliardi di dollari, pari al 12 per cento del PIL mondiale. Di questa somma, il 27 per cento non è soggetto a tassazione. In Italia, la perdita per l’erario causata dall’evasione fiscale nel 2020 e stimata dal ministero dell’Economia e delle Finanze è stata di circa 86 miliardi di euro: una cifra che potrebbe trasformare in maniera radicale il sistema di welfare del Paese e, invece, genera costi che impattano soprattutto sulle fasce di popolazione che non possono permettersi cure e istruzione private.

Vi è poi negli ultimi decenni la propensione a ricorrere alla tassazione indiretta, cioè quella che non colpisce il reddito ma la spesa, come ad esempio l’Iva e le accise. Le imposte indirette da un lato rendono più difficile l’evasione fiscale, ma dall’altro danneggiano in particolar modo i segmenti più vulnerabili della popolazione: chi consuma tutto il proprio reddito per sopravvivere lo vedrà tassato nella sua totalità, a differenza di chi può risparmiare e magari investire, generando ulteriori entrate. Anche la riforma sull’aliquota unica (la flat tax), che ciclicamente viene riproposta, andrebbe a eliminare la progressività a tutto vantaggio dei redditi più elevati

In generale, le politiche fiscali orientate a favorire le grandi aziende e i super ricchi, tornate di moda negli ultimi anni, promettono vantaggi a cascata per tutti ma in realtà hanno ampliato il divario economico. Tagli alle imposte sulle imprese, come quelli introdotti negli Stati Uniti durante la prima amministrazione Trump, hanno ridotto le entrate statali senza produrre benefici proporzionali per le classi lavoratrici.

La trappola della povertà e la mobilità sociale

Il fenomeno della trappola della povertà è evidente nei Paesi come l’Italia, dove la mobilità sociale rimane limitata a causa della forte influenza delle condizioni familiari di origine sul reddito e sulle opportunità degli individui. Secondo un rapporto dell’Ocse del 2018, in Italia sono necessarie cinque generazioni, circa un secolo, affinché i discendenti di famiglie a basso reddito raggiungano il reddito medio nazionale. Un  dato inferiore rispetto a Paesi come la Danimarca, dove per lo stesso risultato sono sufficienti due generazioni.

Inoltre, un rapporto del World Economic Forum colloca l’Italia al 34º posto su 82 economie nell’indice di mobilità sociale globale, ultima tra i principali Paesi industrializzati. Uno studio del Sole 24 Ore su dati Eurostat sottolinea che i bambini provenienti da famiglie con genitori non laureati hanno il 45 per cento di probabilità in meno di conseguire una laurea rispetto a quelli i cui genitori hanno un titolo di studio universitario. Questo divario persiste nonostante l’espansione dell’istruzione tra i più giovani, indicando che l’ascensore sociale legato all’istruzione è fermo.

Questi dati, tra i tanti disponibili e coerenti, dimostrano che in Italia il contesto familiare rappresenta un fattore determinante per il successo economico e che chi nasce in una famiglia a basso reddito ha poche possibilità di migliorare la propria condizione. La mancanza di accesso a un’istruzione di qualità, ad esempio, limita l’opportunità di acquisire le competenze necessarie per affrontare sfide professionali alla pari con gli altri. Anche la rete di relazioni, spesso fondamentale per accedere a posizioni lavorative migliori, è un privilegio riservato a chi proviene da contesti più abbienti.

Tuttavia, la repressione economica non è inevitabile ed è possibile imitare realtà già esistenti che vanno in questa direzione: il prossimo grande passo nel progresso umano potrebbe non avvenire mai, se la mente che lo realizzerà rimarrà bloccata nella trappola della povertà. 


Riscatto o sopravvivenza?

Tra le fasce di popolazione più vulnerabili rientra quella delle madri single. Emblematica in questo senso è l’esplosione negli Stati Uniti del fenomeno delle mommunes, la condivisione di un alloggio tra madri single, per abbattere i costi e aiutarsi a vicenda nella cura dei figli. Tuttavia, questo non deve trarre in inganno: le mommunes non rappresentano tanto un’occasione di riscatto, quanto un adattamento per sopravvivere che dimostra come le disuguaglianze strutturali non sono solo numeri ma realtà vissute da milioni di persone, mamme e neonati inclusi.

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