Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali. Lo ha fatto dopo che quattro anni fa ha messo in pericolo il sistema democratico americano, rifiutandosi di concedere una pacifica transizione del potere al suo sfidante, Joe Biden, e arrivando a far sì che i suoi sostenitori invadessero il Campidoglio, simbolo del potere politico statunitense. Mentre attaccava frontalmente la democrazia, Trump non la ripudiava nel discorso pubblico: quello che stava facendo, nella sua versione, era dovuto a presunti brogli (mai dimostrati) che avrebbero minato il processo democratico. Zack Beauchamp, autore di Lo spirito reazionario: Come il lato oscuro della politica americana ha infettato tutto il mondo, interessante saggio edito in Italia da minimum Fax, cerca di analizzare come agiscono e si muovono le forze antidemocratiche oggi. Siamo infatti lontani dal periodo in cui Nietzsche poteva permettersi di definire la democrazia un sistema che «rende le persone piccole, vili e amanti del piacere»: oggi nel mondo occidentale il processo democratico è talmente consolidato che i leader con tendenza autoritaria, che incarnano lo spirito reazionario del titolo del volume, non possono dire apertamente di volerlo minare, ma devono farlo fingendo di volerlo rendere più perfetto.
L’attacco che viene più spesso attuato è al liberalismo. Secondo gli autoritari moderni, le democrazie, riconoscibili per l’elezione del capo attraverso un processo elettorale, non dovrebbero intrinsecamente comprendere i concetti di libertà e uguaglianza. Zack Beauchamp data questo dissidio ai tempi di Carl Schmitt, teorico del diritto tedesco e poi convinto nazista che in La crisi della democrazia parlamentare aveva sostenuto che tutte le democrazie dipendono dall’esclusione di qualcuno. La comunità politica si creerebbe infatti secondo una distinzione gerarchica tra amici e nemici: la democrazia non sarebbe quindi una comunità libera di cittadini uguali ma una gerarchica, in cui un gruppo umano si pone sopra a un altro.
Beauchamp analizza alcuni Stati che hanno subito negli ultimi anni una regressione democratica, come Ungheria, Israele e India, e in ognuno di questi ravvisa le condizioni schmittiane della democrazia. Orbán ha costruito il suo potere attaccando il liberalismo, nella figura del magnate George Soros, e proclamando con forza che la sua fosse una «democrazia illiberale». Netanyahu e Modi, invece, cercano di costruire i loro Paesi come etnostati in cui un gruppo umano, gli ebrei per Israele e gli indù per l’India, sarebbero gli unici depositari dei pieni diritti civili e politici. Tutti e tre, quindi, si dichiarano compiutamente democratici, ma non ritengono l’uguaglianza il valore cardine della democrazia.
Per giungere, poi, agli Stati Uniti d’America, discussi molto in questi giorni. Zack Beauchamp adotta una visione ancora più radicale: fin dalla fondazione gli Stati Uniti hanno accettato due pensieri democratici differenti, uno liberale e uno autoritario e gerarchico. La tensione tra queste due visioni della democrazia, soprattutto in riferimento alla possibilità o no di possedere gli schiavi, ha portato alla guerra civile. Nel momento in cui la democrazia liberale ha trionfato su quella gerarchica, la seconda ha costruito un sistema discriminatorio, volto a evitare che gli afroamericani, cittadini ritenuti inferiori, potessero far valere il loro diritto di voto.
Il pericolo della nuova vittoria di Trump, ottenuta all’interno di un processo democratico legale e perfettamente funzionante, è che possa portare a una nuova recrudescenza dello spirito reazionario nel mondo, soprattutto se cercherà di governare sconfessando i principi cardine della democrazia liberale.