In Emilia-Romagna, tra il 2 e il 17 maggio 2023, due alluvioni hanno colpito diverse zone delle province di Forlì-Cesena e Ravenna. Danni materiali per circa nove miliardi di euro: stima a ribasso per chi ha raccolto dal fango le foto di famiglia, il vestito del proprio matrimonio o della laurea, per chi non nasconde una smorfia di inquietudine o spavento quando la pioggia scende fitta. Queste esperienze di vita possono rendere chiunque molto esigente nei confronti del proprio sindaco o ministro competente di turno, soprattutto in un Paese come l’Italia, storicamente poco incline a confidare nelle istituzioni.
Gli eventi catastrofici come un alluvione, poi, abbassano la soglia di tolleranza nei confronti dell’inefficienza: se nei giorni buoni è più facile riderci su, in quelli di pioggia, con una cantina allagata da una melma densa, con la cucina nuova da buttare, non tutti hanno la forza di prenderla con filosofia. Così, le istituzioni, soprattutto quelle locali, vengono caricate di aspettative: non si chiedono la Svizzera o la taumaturgia, certo, ma risposte, chiarezza, rassicurazioni e poi un aiuto concreto, ecco, questo sì. Federico Morgagni, consigliere di opposizione del comune di Forlì, ha visto in quei giorni la presidente del Consiglio Giorgia Meloni calzare gli stivaloni di gomma e promettere «ristori al cento per cento in tempi brevi e con modalità accessibili». «Qui le persone, per il rapporto che hanno con le istituzioni, sono abituate al fatto che se queste dicono quella cosa lì, vuol dire che la fanno», ci dice il consigliere a riguardo.
Le aspettative in questi casi sono centrali, alla base di un rapporto di fiducia a livello intimo e personale, ma la relazione che abbiamo con le istituzioni non differisce poi molto da quella che abbiamo con un amico: se ci dà buca nel momento del bisogno – quando vediamo tutto nero – c’è il forte rischio che diventi il capro espiatorio delle nostre sventure. Paola Pula, sindaca di Conselice (Ravenna), non ha dovuto fronteggiare le aspettative tradite di un amico, ma di novemila cittadini che, dopo l’alluvione, hanno visto il loro comune diventare uno specchio d’acqua stagnante per settimane: i conselicesi hanno trascorso diversi giorni senza né acqua corrente, né energia elettrica, creando un clima di tensione difficile da stemperare. «Si parla di due metri d’acqua, rimasta stagnante per molto tempo, che ha creato un’emergenza sanitaria», ci racconta. «Facevamo fatica a capire cosa comunicare all’esterno, presi dal risolvere le questioni quotidiane e dalla gestione delle emittenti televisive che erano sempre qui». Per un piccolo comune, infatti, non è quasi mai semplice comunicare efficacemente, tantomeno se ai limiti legati a disponibilità di risorse umane e competenze si affiancano grattacapi come le gogne su Facebook e i processi per direttissima via Instagram live: «È stato un disastro assoluto, perché si innescano fenomeni perversi di alimentazione del risentimento e gli amministratori sono attaccati su tutti i fronti. È stato necessario presidiare il municipio perché una persona ha tentato di aggredirmi».
In questi casi ci si arrangia: si ricorre a vecchi metodi che, per quanto possa sembrare anacronistico, sono l’unico modo per mantenere un filo diretto con i cittadini, per conservare la credibilità e allontanare le reazioni da giorno del giudizio. Ci racconta il sindaco di Modigliana (Forlì-Cesena), Jader Dardi: «Nei giorni dell’alluvione, siamo tornati a girare in strada con l’altoparlante. Un ragazzo si è prestato per alcuni giorni, abbiamo dato comunicazione in questo modo, però sono tutti espedienti molto precari. È stato un periodo molto difficile: i cittadini erano sconcertati, vedevano i bar aperti ma non si rendevano conto che tutto attorno le strane erano franate». Perché, dove non arrivano l’acqua e il fango, è lo scollamento dalla realtà a rendere tutto più caotico, al punto che pochi chilometri di distanza diventano un limite invalicabile per la comprensione umana. «Siamo stati per un mese senza avere la connessione internet», prosegue Dardi. «Mi dovevo spostare a quindici chilometri di distanza, dove il telefono prendeva, per riuscire a chiamare gli elicotteri. Altrimenti non avremmo messo in salvo le persone».
In queste condizioni estreme è utile cercare di gestire al meglio competenze ed energie, anche se spesso si ha la sensazione che la vita sia comunque messa alla prova dalle conseguenze del cambiamento climatico, come emerge dalla testimonianza che la sindaca Pula fa sull’alluvione: «Abbiamo dovuto portare l’acqua potabile con le cisterne anche per gli animali degli allevamenti. La casa di riposo ha avuto bisogno di un bypass che portasse acqua pulita, tramite una cisterna esterna. Per farla arrivare nelle case, invece, abbiamo caricato le taniche sui mezzi disponibili, anche rimorchi e trattori. Dopo l’alluvione, l’energia elettrica è mancata per oltre un giorno: fino all’arrivo della colonna dei soccorsi abbiamo dovuto arrangiarci con i generatori disponibili. Tutti hanno fatto del loro meglio: tre carabinieri in congedo hanno offerto il loro aiuto, c’è stato chi ha distribuito i pasti e chi ha offerto un letto e vestiti asciutti».
Morgagni ci spiega che nel quartiere Foro Boario a Forlì, invece, l’organizzazione del lavoro dei volontari dopo l’alluvione è toccata al coordinatore di quartiere: «Si è messo in un circolo Arci insieme ad altri volontari, con il loro computer e la loro attrezzatura. Le persone arrivavano per spalare e loro le indirizzavano». Il volontarismo in queste condizioni lascia spazio anche a una certa amarezza, per quello che presumiamo dovrebbe essere la gestione di un’emergenza e quello che invece spesso si rivela poi essere la realtà dei fatti. Lo stato di emergenza che vive un comune alluvionato può restituire molte informazioni su come funziona il nostro Paese. Le condizioni estreme legate agli effetti del cambiamento climatico rivelano come le difficoltà amministrative non siano unicamente legate agli aspetti burocratici. La Babele dei faldoni degli uffici della pubblica amministrazione che incombono sul cittadino è un problema, ma non è certo il solo perché un municipio non è un’isola amministrativa. L’apporto della cittadinanza può avere ancora un ruolo attivo nel determinare la qualità della vita in un territorio. Lo stretto legame che c’è con le istituzioni non può essere interpretato in chiave univoca (oggi si direbbe top-down), ma piuttosto nella dinamica multilivello del sistema amministrativo italiano. Un sistema dentro cui c’è ancora spazio, e forse un gran bisogno, per l’interesse e la partecipazione di chi un territorio lo vive.