Tifoserie calcistiche scambiate per cortei politici, uomini accusati di molestie cambiano il sesso legale e accedono ai luoghi riservati alle vittime di violenza, lockdown climatici e il complotto su Pedro Sánchez, primo ministro spagnolo capace di far saltare linee ferroviarie per evitare la corsa alle urne. Narrative surreali da fare invidia a Jorge Luis Borges, lo scrittore argentino che insieme a Gabriel García Márquez diede vita al realismo magico, eppure prese per vere da molti. Storie dai tratti ormai sempre meno riconducibili ai libri, adatte piuttosto al sistema della disinformazione, che raggiunge il proprio apice nei periodi pre e post elettorali. Una fase in cui la maggior parte delle fake news in circolazione riguarda temi che spaziano dall’economia al cambiamento climatico, fino a toccare l’immigrazione, il Covid-19 e le guerre, soprattutto quella in Ucraina. Alcune tra quelle di maggior successo prendono pieghe quasi trascendentali.
A tracciare questo quadro è un report pubblicato dall’osservatorio europeo sui media digitali (Edmo, la cui filiale italiana è Idmo) che ha analizzato, alla vigilia del voto per il rinnovo del parlamento europeo, più di mille articoli di fact-checking pubblicati nei Paesi coinvolti in elezioni parlamentari o presidenziali durante il 2023. Se ne contano 313 solo in Spagna, dove il bersaglio dei “disinfluencer” e delle fake news è stato soprattutto il presidente Pedro Sánchez, che un anno fa convocò in anticipo un nuovo round elettorale dopo la sconfitta alle amministrative. A lui un tweet diventato virale – accompagnato dall’immagine di un falso comunicato – ha attribuito l’appellativo di «tiranno» perché voleva «costringere» i cittadini ispanici a un «sacrificio»: un lockdown per ammortizzare gli effetti del cambiamento climatico. A questa infowar si agganciano interpretazioni sbagliate sulla Ley Trans, la legge che avrebbe consentito a uomini cisgender di cambiare legalmente il proprio genere così da poter accedere ai centri in cui sono accolte le compagne vittime di violenza, oltre a video di politici a rallentatore per farli sembrare ubriachi. Non mancano accuse fallaci dall’opposizione conservatrice nei confronti del primo ministro socialista, reo – secondo Alfonso Serrano del Partito popolare – di aver fatto saltare le linee ferroviarie tra Madrid e Valencia per impedire ai fuorisede di votare.
Non sempre la disinformazione punta a far cadere i regnanti dal loro trono: in alcuni Paesi è lo stesso governo a fare da trait d’union tra fake news e cittadini. Emblematico è il caso della Serbia, dove le elezioni parlamentari sono state «dominate dal coinvolgimento del presidente [il conservatore Aleksandar Vučić, ndr], che ha creato condizioni di vantaggio» per il suo partito attraverso «un eccessivo controllo dei media», come sottolineano un documento cofirmato dal Parlamento europeo e un report del Consiglio d’Europa. Organizzazioni locali indipendenti di fact-checking hanno così rappresentato il principale villain mediatico di Vučić. Prima delle elezioni, i canali più vicini a lui lo dipingevano come lo «sfavorito assoluto» e utilizzavano falsi sondaggi per sostenere la tesi. Alcuni membri della maggioranza accusavano di voto di scambio l’opposizione, pronta – a detta loro – a «far cadere il governo» o «a mettere a ferro e fuoco il Paese» in caso di sconfitta. La narrazione è stata ribaltata dopo la vittoria di Vučić. Dai suoi occhi si è mostrata l’altra faccia della medaglia: la Serbia aveva appena assistito alle «elezioni più pulite di sempre», a dispetto delle accuse di irregolarità, rispetto alle quali non aveva «tempo da perdere». Ancora una volta, le dichiarazioni del governo sono state sostenute dagli organi mediatici dello Stato, che invece di mostrare le proteste della popolazione si limitavano a far vedere video delle assemblee semivuote del Consiglio d’Europa, a cui è andato l’attributo di «hater della Serbia».
Tra i restanti dieci Paesi coinvolti nelle elezioni spiccano casi di narrative cospiratorie, deep fake e misinformazione, ovvero la diffusione non intenzionale di notizie false. Il non plus ultra delle teorie del complotto? La Polonia, patria di vodka, zuppe e accuse sulla guerra in Ucraina: dai cittadini che «vendono le ossa dei russi», a Nato e Stati Uniti «colpevoli di aver voluto scatenare il conflitto». Intelligenza artificiale e account goliardici hanno rappresentato una combinazione capace di rendere virali video fallaci sui candidati in Turchia. L’esperimento di un utente su X ha portato a far credere a molti che Kemal Kılıçdaroğlu, leader del partito d’opposizione, avesse tenuto un discorso in inglese sui problemi del Paese. Più colorata la vicenda del corteo a supporto del partito Good Party: in realtà, quelle stesse immagini erano state prese in prestito dall’Italia e rappresentavano la simulazione generata dall’intelligenza artificiale della festa scudetto del Napoli.
Per tante persone si tratta solo di raccogliere la ciliegia a loro più gradita: è il cherry picking, un processo con cui si scelgono le notizie che favoriscono le proprie tesi e ne ignorano le confutazioni. Gli utenti, invece, spesso creano contenuti virali falsi per mero divertimento, mentre i cospirazionisti necessitano di argomenti tendenziosi da far circolare in rete. Che siano errori, goliardia o presunti complotti, per l’Ue la disinformazione resta la più grande «minaccia per le democrazie». A giugno del 2022 è stato rafforzato il codice di condotta per monitorare la trasparenza del panorama mediatico europeo e gli investimenti sul fact-checking sono in continua crescita. L’obiettivo primario resta la guerra alla disinformazione, ma alla vigilia delle elezioni sono le stesse fake news a minare il più grande esame di democrazia: il voto dei cittadini. Per i più informati restano narrative surreali, per altri è puro realismo, tragico più che magico.