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The Star-Spangled Banner e la crisi dell’impero

Attraverso l’inno nazionale uno Stato e i suoi governanti si riconoscono parte di una storia condivisa. Oggi, il Paese più importante del mondo non si identifica più sotto gli stessi miti. The Star-Spangled Banner alla prova della crisi dell’impero

L’inno nazionale alla prova della crisi dell’impero

Gli Stati Uniti oggi sono profondamente divisi. La sfiducia e l’antagonismo tra persone di diverse ideologie sono in aumento, con l’80 per cento dei repubblicani convinti che l’America rischi di perdere la sua cultura e identità, rispetto a un terzo dei democratici. La sfiducia tra persone di opposte convinzioni politiche è in costante aumento, alimentata dalla tendenza a vivere in bolle sociali ideologicamente omogenee. Woke contro anti-woke. Establishment contro classe media. Progressisti contro evangelici. Con posizioni politiche polarizzate su temi come diritti Lgbtqia+, aborto, giustizia sociale e climatica, pedagogia. Mai come oggi la California e il Texas sembrano essere mondi separati e opposti. I versi dell’inno nazionale statunitense «O say can you see, by the dawn’s early light, what so proudly we hailed at the twilight’s last gleaming» («Oh, dimmi, puoi vedere, alle prime luci dell’alba, ciò che abbiamo salutato con così orgoglio all’ultimo chiarore del crepuscolo?») evocano immagini di una nazione unita e orgogliosa, ma contrastano con la realtà dell’attuale fase storica americana.

Al 29 per cento degli adulti americani è stata diagnosticata una forma di depressione. Le morti per suicidio, overdose da oppioidi e alcolismo sono quadruplicate in 25 anni. La percezione della grandezza degli Stati Uniti è in calo, soprattutto tra le nuove generazioni della classe dirigente. Il debito federale americano ha visto una crescita esponenziale, passando a circa 34.400 miliardi di dollari nel 2024. Le parole «and the rocket’s red glare, the bombs bursting in air» («e il bagliore rosso dei razzi, le bombe che esplodono in aria») celebrano le vittorie militari passate, ma oggi possono sembrare fuori luogo alla luce del fatto che gli americani sono sempre meno entusiasti del ruolo di poliziotto del mondo che gli Stati Uniti hanno interpretato negli ultimi decenni.

Mentre la campagna elettorale entra nel vivo, circa il 36 per cento degli americani ritiene ancora che il ticket Joe Biden-Kamala Harris non abbia vinto legittimamente le elezioni presidenziali del 2020.

La storia di The Star-Spangled Banner

Negli Stati Uniti, l’inno ha incarnato la resistenza e la libertà, riuscendo a unire cittadini di diverse etnie, lingue e appartenenze statali sotto un comune senso di patriottismo.

The Star-Spangled Banner fu composto da Francis Scott Key il 14 settembre 1814, durante la guerra anglo-americana. In quel periodo Londra, impegnata nelle guerre napoleoniche, imponeva un blocco ai porti francesi, ostacolando il commercio degli Stati Uniti, arruolava forzatamente marinai americani nella Royal Navy e sosteneva le tribù indigene nei loro tentativi di resistere all’espansione americana verso ovest. Le crescenti tensioni tra le due sponde dell’Atlantico portarono gli americani a vedere la guerra come un’opportunità per espandere i propri territori verso il Canada britannico.

Il Congresso dichiarò ufficialmente guerra al Regno Unito il 18 giugno 1812: il conflitto durò fino alla vigilia di Natale del 1814, quando il trattato di Gand pose fine alle ostilità ripristinando i confini prebellici. La guerra si concluse definitivamente un anno dopo con la battaglia di New Orleans, in cui il generale Andrew Jackson, futuro settimo presidente degli Stati Uniti e figura idolatrata da Donald Trump (che collocò un suo ritratto nello Studio Ovale durante il suo mandato), sconfisse le forze britanniche.

Uno dei momenti più significativi della guerra fu la battaglia di Fort McHenry, combattuta tra il 13 e il 14 settembre 1814. Dopo aver incendiato la Casa Bianca i britannici si diressero verso Baltimora, uno dei principali porti e centri commerciali americani, dove nel 1977 sarebbe stato costruito il Francis Scott Key Bridge, crollato il 26 marzo 2024 a causa dell’impatto con la nave portacontainer MV Dali. A Fort McHenry, situato all’ingresso del porto di Baltimora, la flotta britannica, composta da numerose navi da guerra, iniziò un intenso bombardamento del forte che durò 25 ore, con l’obiettivo di distruggere le difese americane e permettere lo sbarco delle truppe.

Nonostante l’intensità del bombardamento, Fort McHenry riuscì a resistere. Le difese ben organizzate e la determinazione delle truppe americane impedirono ai britannici di superare le linee difensive. All’alba del 14 settembre, la grande bandiera americana, cucita da Mary Pickersgill, sventolava ancora sopra il forte, segno della vittoriosa resistenza. Un avvocato e poeta americano, Francis Scott Key, si trovava a bordo della fregata britannica Surprise, ancorata nel porto durante il bombardamento, per negoziare il rilascio di un prigioniero americano. Dal ponte della nave, osservò il bombardamento e vide la bandiera americana ancora sventolare al mattino.


Ispirato da quella vista, Key scrisse una poesia intitolata Defence of Fort M’Henry, che in seguito sarebbe diventata The Star-Spangled Banner. La poesia fu messa in musica utilizzando la melodia di una popolare canzone britannica del 1799 chiamata To Anacreon in Heaven, commissionata dalla loggia massonica Anacreontic Society al maestro Stafford Smith. La canzone divenne l’inno ufficiale della Marina americana nel 1899, ma non fu immediatamente adottata come inno nazionale. Solo il 3 marzo 1931, a seguito di campagne e petizioni da parte di gruppi di veterani, patrioti e associazioni musicali come l’American Legion, i Veterans of Foreign Wars e la National Association of Music Teachers, e con il sostegno del presidente Herbert Hoover, il Congresso degli Stati Uniti la dichiarò ufficialmente inno nazionale. Il noto ponte Francis Scott Key Bridge sarebbe stato successivamente intitolato all’autore dell’inno nazionale.

Dagli anni Trenta a George Floyd

Negli anni Trenta The Star-Spangled Banner rappresentava la Marina e il nuovo ruolo internazionale degli Stati Uniti. Prima del 1931, gli Stati Uniti non avevano un inno nazionale ufficiale e diverse canzoni venivano utilizzate nei vari Stati. La decisione del presidente Hoover di adottare ufficialmente The Star-Spangled Banner mirava a rafforzare l’identità nazionale.

Durante la guerra fredda, l’inno simboleggiava la libertà e i valori democratici americani in opposizione al comunismo sovietico. Le parole «the land of the free and the home of the brave» evocavano i principi di libertà sostenuti dagli Stati Uniti. Dagli anni Cinquanta e Sessanta, l’inno divenne un campo di battaglia politico e culturale, pur esistendo già diverse versioni in altre lingue cantate dalle minoranze.

Gli attivisti per i diritti civili criticarono il canto perché non rifletteva l’esperienza di tutti gli americani, evidenziando la mancanza di libertà e uguaglianza per le persone di colore. Il passaggio più critico è il seguente: «No refuge could save the hireling and slave, from the terror of flight, or the gloom of the grave», ossia: «Nessun rifugio potrebbe salvare il mercenario e lo schiavo dal terrore della fuga, dalle tenebre della tomba».

Durante la guerra del Vietnam, l’inno fu usato sia per esprimere sostegno alla guerra sia per manifestare dissenso. L’interpretazione di Jimi Hendrix a Woodstock nel 1969 è un esempio iconico. Negli anni Ottanta, sotto la presidenza di Reagan, l’inno tornò a rappresentare il patriottismo americano, mentre dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 assunse un nuovo significato di resilienza e unità del popolo americano.

Il 19 giugno 2020, durante le celebrazioni per la fine della schiavitù, la statua di Francis Scott Key a San Francisco fu abbattuta. Un mese prima, l’uccisione di George Floyd aveva scatenato proteste globali contro il razzismo e la brutalità della polizia. Numerose statue legate alla schiavitù furono vandalizzate o rimosse, inclusa quella di Key, che era stato proprietario di schiavi.

Già nel 2016, Colin Kaepernick, giocatore di football americano, si inginocchiò durante l’inno nazionale in segno di protesta contro le ingiustizie subite dalla comunità nera, dichiarando: «Non starò in piedi per mostrare orgoglio in una bandiera per un Paese che opprime le persone nere». Altri giocatori seguirono il suo esempio, trasformando il movimento in un fenomeno nazionale. L’allora presidente Donald Trump arrivò al punto di richiedere il licenziamento dei giocatori che si inginocchiavano, ritenendo le proteste una mancanza di rispetto verso la bandiera e i veterani militari.

Mentre alcuni vedono le azioni di Kaepernick e di altri giocatori come un esercizio legittimo della libertà di espressione e una necessaria denuncia delle ingiustizie, altri le percepiscono come un’offesa ai simboli sacri della nazione. Questo conflitto riflette una più ampia polarizzazione all’interno della società americana, dove la percezione di The Star-Spangled Banner è diventata un simbolo di divisione piuttosto che di unità. 

La crisi che attanaglia oggi gli Stati Uniti non risparmia nemmeno i miti nazionali. L’inno sembra ora riflettere un’America divisa e in conflitto con se stessa. I versi che celebrano un passato glorioso suonano discordanti rispetto alla realtà attuale.

Come recita l’inno: «Does the star-spangled banner continue to fly over the land of the free and the home of the brave?». Lo stendardo stellato continua a sventolare sulla terra dei liberi e sulla casa dei coraggiosi? La risposta che la democrazia americana darà nei prossimi mesi e anni sarà cruciale per il futuro dell’Occidente liberal-democratico.


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