Vivere di arte sembrerà un’utopia nel 2024. Lo sanno bene gli artisti britannici che lavorano nel settore pubblico e che lottano ogni giorno per rimanere a galla in un ambito caratterizzato dalla cultura dello sfruttamento sistemico e del lavoro non retribuito. Nel mare magnum dell’incertezza economica, in Inghilterra si sta facendo spazio un progetto tanto complesso quanto ambizioso. Una rete di creativi che sta intraprendendo azioni dirette e mirate per migliorare la propria condizione sociale e che ricerca nella trasparenza lo strumento migliore per coalizzarsi, tentando di dare nuova linfa vitale a un settore sempre più in bilico.
Si tratta di Industria, l’alias di due artiste femministe – che mantengono l’anonimato – ma anche il nome di un collettivo attraverso cui vengono promossi incontri e collaborazioni con altrettanti professionisti e creativi. La sua missione è combattere lo sfruttamento e il precariato che stanno corrodendo l’industria dell’arte e che richiedono la precarietà dei suoi attori principali quasi come requisito, oltre a un’economia di lavoro a basso salario per poter funzionare.
Dopo essersi viste rifiutare l’ennesima richiesta di informazione e trasparenza in merito al pagamento degli artisti che collaborano con la Tate Gallery di Londra, nel 2020 Industria ha deciso di lanciare Artist Leaks, un modulo di raccolta dati ad accesso libero per rendere pubbliche le tariffe delle singole istituzioni. L’intransigenza della Tate ha spinto le due donne a richiedere tali informazioni sensibili dal punto di vista commerciale direttamente agli artisti. L’appello ha generato le 104 testimonianze su cui si basa l’indagine pubblicata ad aprile 2023 e commissionata dalla Artists Information Company: Structurally F-cked.
Il quadro sulla remunerazione degli artisti in Uk tracciato dalle testimonianze raccolte in Structurally F-cked è inquietante: i progetti più prestigiosi richiedono un lavoro a tempo pieno in cambio di compensi percepiti una tantum. Spesso e volentieri questi si riducono a cifre da miseria. Secondo i dati raccolti dal sondaggio promosso da Artist Leaks, la paga oraria mediana di un artista è di 2,60 sterline, una cifra nettamente inferiore al salario minimo britannico che si attesta intorno alle 9,50 sterline. Il 76 per cento degli intervistati ha dichiarato di percepire un compenso giornaliero o mensile nettamente inferiore di quello previsto dal salario minimo nazionale, mentre il 15 per cento ha dichiarato di non ricevere alcun compenso per la sua attività. Infine, il 74 per cento ha affermato di ritenere ingiusti i compensi ottenuti rispetto all’entità del lavoro svolto. Chi proviene da contesti difficili o meno privilegiati, pertanto, è costretto a dividersi tra molteplici lavori aggiuntivi per sovvenzionare commissioni mal pagate nel settore pubblico. In molti hanno deciso di mollare la presa anche per proteggere la propria salute mentale e la propria sicurezza finanziaria.
«È difficile cercare di rimanere a galla», spiega Charlotte Esposito, visual artist originaria di Brighton. «Sento di aver dovuto lottare tanto per la mia arte e mi piacerebbe vedere un cambiamento della società nella percezione degli artisti. Temo che in futuro molti giovani talenti saranno costretti a rinunciare ai propri sogni». Anche l’artista Luke Jerram, di base a Bristol, è dello stesso parere: «L’inizio della mia carriera è stato difficile, perché ci sono tante abilità che gli artisti devono apprendere sul campo per poter avere successo. Dalla definizione dei budget alla gestione di collaboratori e progetti, dal marketing ai rapporti con la stampa, ci vuole tempo per capire come muoversi. Mi auguro che venga eletto un nuovo governo laburista per dare una svolta all’economia del Regno Unito».
Nel dossier pubblicato in accompagnamento ai numeri di Structurally F-cked, oltre alla condizione di precariato perenne in cui vivono gli artisti viene denunciata proprio la mancanza di un codice di condotta che tuteli i diretti interessati. Nonostante l’esistenza di diversi sindacati, come la Artists’ Union England, la maggior parte degli artisti continua ad avere poco o zero potere contrattuale nei confronti della ricchezza e dell’influenza dei gatekeepers del mondo dell’arte contemporanea, i collezionisti e i committenti, che continuano a determinare – collettivamente e individualmente – i valori culturali e di mercato delle stesse opere d’arte. Industria spera che l’introduzione di un codice di regolamentazione del settore possa servire anche per uno scopo più elevato, in primis per sollecitare una riconsiderazione dell’approccio politico ai finanziamenti del settore pubblico, che negli ultimi anni sembrano essere stati guidati dall’errata convinzione che fare arte non dia un valido contributo culturale ed economico alla società. «Dopo il crollo finanziario del 2008, il governo dei conservatori ha attuato una politica di austerità che ha tagliato i fondi per le arti», aggiunge Jerram. «Ho dovuto persino istituire il Bristol Schools Fund in città, per garantire agli studenti l’accesso a un’istruzione artistica decente».
Con Structurally F-cked, le voci del collettivo britannico hanno messo nero su bianco alcune conclusioni significative: il lavoro di un artista sottopagato sovvenziona un settore già in estrema difficoltà a livello finanziario e la stessa produzione artistica – unita a una cattiva retribuzione – si traduce nella creazione di un’élite. In questo modo, vengono privilegiati gli obiettivi istituzionali rispetto agli interessi dei singoli e ci si ritrova all’interno di un mercato commerciale non regolamentato, dove i più giovani (e speranzosi) artisti rischiano di essere spazzati via da un sistema strutturalmente fottuto, che genera grandi profitti a spese del talento, della passione e dell’impegno altrui.