Amare dietro le sbarre si può. Si deve. Non è una frase fatta, ma il succo di una sentenza della Corte di Cassazione che ha aperto questo 2025. Una sentenza storica in materia di diritti dei detenuti. La Corte costituzionale lo aveva già sancito a fine gennaio 2024, quando aveva ribadito che i colloqui intimi, compresi quelli a carattere sessuale, possono essere vietati solo per «ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina», cioè per il comportamento non corretto del detenuto o per ragioni giudiziarie (in caso di soggetto ancora imputato). Eppure, appena un giorno dopo la pubblicazione della sentenza, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nella conferenza stampa di inizio anno ha ricordato la linea del suo governo sul carcere. «L’Italia intende fare la sua parte per garantire condizioni migliori a chi deve scontare una pena qui», ma «la mia idea non è che questo si debba fare adeguando il numero dei detenuti o i reati alla capienza delle nostre carceri. Dobbiamo adeguare le nostre carceri alle necessità. Questo fa uno Stato serio. È per questo che abbiamo nominato un commissario straordinario all’edilizia penitenziaria per realizzare settemila nuovi posti». Secondo Susanna Marietti, coordinatrice nazionale della Onlus Antigone, «sono parole e promesse che hanno fatto in tanti e nessuno ci è riuscito perché anche costruire carceri è difficile per soldi e tempi. Dovremmo, invece, ragionare su misure garantiste».
Per la numero uno dell’associazione che prende il nome dalla protagonista di Sofocle ingiustamente imprigionata, sul tema dell’affettività «la sentenza del 2024 della Corte costituzionale doveva essere intesa come immediatamente operativa e invece l’amministrazione penitenziaria è stata inadempiente. La Cassazione è andata oltre, qualificando la vita sessuale del detenuto con il proprio partner come un diritto e non soltanto come una legittima aspettativa». Ora, secondo Marietti, «ci si aspetterebbe che si trovino al più presto le modalità per esercitare questo diritto». Il problema, però, è che la mentalità giustizialista dell’esecutivo in carica è rimasta intatta e, anzi, si è aggiunta la nomina di un commissario all’edilizia penitenziaria – Marco Doglio, ex Cassa depositi e prestiti – per avviare un programma di ampliamento dei posti di detenzione come unica soluzione per far fronte al sovraffollamento carcerario. Un problema atavico per l’Italia, che non accenna a ridursi: secondo il rapporto di metà gennaio stilato dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, sono 61.852 i detenuti nelle carceri italiane, a fronte di 46.839 posti disponibili. Il divario rispetto alla capienza regolamentare di 51.312 posti è così pari a 4.473. A livello nazionale, l’indice di sovraffollamento è arrivato al 132,05 per cento, con il carcere di San Vittore di Milano ancora in testa alla classifica a causa di una percentuale record del 218,3 per cento. Nessuno sa a che punto sia l’operato di Doglio al momento.
E anche in tema di affettività, «nulla si muove», specifica Marietti, «perché sebbene da mesi sia attiva una commissione per valutare gli spazi negli istituti, non è stato fatto granché. Né sono state effettivamente create stanze apposite per stare in intimità con il partner». Ancor più grave, se vogliamo, è che neanche l’epoca Covid-19 abbia insegnato nulla. «Anzi, siamo tornati indietro rispetto ai tempi in cui, sebbene con disposizioni emergenziali, era aumentato il numero delle telefonate consentite. Oggi i detenuti sono tornati a poter sentire i propri cari solo per dieci minuti a settimana e hanno visto fare dietrofront anche sull’apertura delle celle disposta dopo la sentenza Torreggiani». Una disposizione per cui le celle di media sicurezza sarebbero potute restare aperte almeno otto ore al giorno. Per smuovere qualcosa in tema di affettività, Ornella Favero – coordinatrice della rivista Ristretti Orizzonti – spiega che «dopo un’interrogazione parlamentare, il ministro Carlo Nordio aveva promesso risposte sui lavori di un Tavolo apposito, ma ancora non sappiamo nulla. Stiamo lavorando tramite alcuni reclami dei detenuti e vogliamo riprendere in mano l’iniziativa».
Nel resto d’Europa sono tanti gli esempi operativi a garanzia del diritto all’amore anche dietro le sbarre. Oltre alle classiche stanze e a generici colloqui prolungati e non sorvegliati ci sono anche piccoli appartamenti per i detenuti e i loro partner o familiari. «Rispetto ad altri Paesi», aggiunge Favero, «in Italia era emerso che non è necessaria una legge per garantire il diritto all’affettività». E l’unico tentativo di sperimentazione di cui si è parlato nei mesi scorsi è stato subito accantonato. «Il direttore del carcere di Padova», racconta Favero, «era favorevole, ma il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari (Lega) ha bloccato tutto. Ma l’integrità degli affetti riguarda sia i detenuti che i loro cari che sono fuori, ed è un qualcosa che non dovrebbe avere colore politico». Tra l’altro, quella della stanza dell’affettività non sarebbe neanche l’unica soluzione. Per Irma Conti, garante nazionale dei detenuti, sarebbero più idonei dei permessi (da concedere in base alla condizione della pena) di uscita dalla casa circondariale. Secondo Gennarino De Fazio, segretario generale del sindacato Uilpa – Polizia penitenziaria, «non si può non tener conto del dettato costituzionale. L’affettività ci dev’essere e va esercitata ma oggi dobbiamo parlare più in generale di effettività dei diritti in carcere, sia per i detenuti che per gli agenti penitenziari e tutti gli operatori». E se questa è una situazione ereditata, «sta progressivamente peggiorando». Basti guardare agli 88 suicidi con cui si è tragicamente chiuso il 2024, stabilendo un nuovo, triste, record.