«Attraversare il confine è diventato sempre più pericoloso». Inizia così il suo racconto Dora Rodriguez, una migrante salvadoregna che da oltre quarant’anni vive a Tucson, Arizona, lavorando come assistente sociale e prestando soccorso alle persone che cercano di oltrepassare la frontiera tra il Messico e Stati Uniti. «Sono arrivata negli Usa a 19 anni, era il 1980. Ero con un gruppo di 27 persone quando la nostra guida ci ha abbandonato nel deserto. Eravamo alle porte dell’Arizona, eravamo quasi in salvo, ma non lo sapevamo. Sono morte 14 persone in quel posto e, dopo tutti questi anni, ancora ricordo i loro volti».
Dora oggi è madre di due donne e ha quattro nipoti, ha un sorriso gentile e il viso scavato dalle rughe. «Ero molto giovane quando ho lasciato il mio Paese, ma c’era la guerra civile a El Salvador. Sono scappata per salvarmi». Ma quello che l’avrebbe aspettata poche ore dopo, dispersa nel deserto di Sonora, non se lo sarebbe mai potuto immaginare. «Forse, se avessi saputo quello che sarebbe successo, non sarei mai partita. Dopo aver visto tante persone morire di fame e sete, ho creduto anche io di non farcela. Ho vagato cinque giorni che sono durati un’eternità. Quando mi hanno trovata, ero in fin di vita».
Una volta sopravvissuta, ha deciso di dedicare la sua vita ad aiutare chi come lei scappa dal proprio Paese in cerca di un futuro migliore. È rimasta a vivere a Tucson e, dopo una laurea come assistente sociale, ha deciso di aiutare i migranti. Oggi è la direttrice di Salvavision, un’organizzazione no-profit che offre aiuto e sostegno a chi attraversa attraversa il confine messicano. «Per me questa è una missione. È una cosa che ho scelto di fare e che faccio da quasi 40 anni: aiutare qualcuno che sta passando la stessa cosa che ho passato io. È per onorare le persone che sono morte durante il mio viaggio. E quindi non posso immaginare una vita in cui faccio qualcosa di diverso dall’aiutare un’altra persona che sta cercando un’esistenza migliore o sta scappando da una guerra, come ho fatto io».

Un lavoro, il suo, che è diventato sempre più difficile con il passare degli anni, e anche pericoloso per le stesse ong. «Io non ho mai creduto nei governi, perché qualunque amministrazione sia passata non ha mai davvero cambiato le cose. Anche presidenti del Partito democratico, che durante la campagna elettorale spendevano tante parole a favore dell’immigrazione e dell’accoglienza, si sono poi comportati come tutti gli altri. Ma da quando c’è la nuova amministrazione di Donald Trump presidente le cose sono precipitate». È la paura il nuovo sentimento che pervade i migranti che si trovano negli Stati Uniti. «La gente ha paura dei proclami che vengono fatti da Trump, perché oggi i migranti vengono considerati criminali grazie a quella falsa narrativa che li dipinge come persone che vengono a rubarci soldi e lavoro».
Negli ultimi mesi è cresciuto molto anche il fenomeno dei vigilantes, cittadini bianchi americani che, armati di fucile, vogliono preservare il confine americano, urlando a gran voce: «Make America great again!». Già dal 2020, a seguito di appelli da parte di leader politici di destra, vigilanti armati hanno iniziato alcune ronde ai confini, con l’obiettivo di scacciare chi cerca di oltrepassarli e di bloccare il lavoro delle organizzazioni umanitarie che danno sostegno ai migranti. Persecuzioni e molestie in piena regola verso ong e rastrellamenti di migranti nella notte, che sotto l’amministrazione Trump sono cresciuti esponenzialmente. «Queste persone si sentono più forti perché sanno di essere protetti dal governo. Quindi sono ancora più numerose degli anni passati e perseguitano le ong e i migranti, sostenendo che salveranno l’America. Accusano noi operatori umanitari di collaborare con i cartelli. Questo tipo di molestie va avanti da anni, ma ora sento che è più pericoloso: noi non giriamo armati, loro sì. Pattugliano con i loro fucili e ho il timore che, se uno di loro un giorno vorrà diventare un eroe, ucciderà qualcuno di noi».

Una paura che viene perpetrata dal governo americano anche attraverso l’Ice (l’agenzia federale responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione), che ha sempre più libertà di azione. «Hanno la facoltà di andare ad arrestare le persone nelle chiese, negli ospedali, nelle scuole. Questo sta creando un clima di terrore tra le famiglie di rifugiati che sono entrati nel Paese illegalmente ma ora si trovano nel canale di regolarizzazione del loro soggiorno». Il vero problema di questo momento storico, sostiene Dora, è la falsa narrativa che il nuovo presidente sta portando avanti contro i migranti. «I seguaci di Trump credono che lui manterrà l’America al sicuro e che sia necessario chiudere le frontiere e non permettere più a nessuno di entrare nel Paese. Il che non è vero. Perché la comunità degli immigrati è quella che ha costruito questo Paese. Gli Stati Uniti si basano sui migranti e sull’immigrazione. E qui gli immigrati portano lavoro, non lo rubano. Ed è dimostrato dai dati che i crimini negli Stati Uniti vengono commessi soprattutto da bianchi e afroamericani, non dai migranti. Ma alla gente non interessava sentirne parlare».
Quarant’anni dedicati al servizio delle persone che cercano di attraversare una linea tracciata dai governi, in cui rischiano la loro vita. Un servizio ai migranti che sta diventando sempre più pericoloso da portare avanti. «Sento il clima di paura che si respira, però io non ne ho. Io porto sostegno alle famiglie, non sto facendo attraversare illegalmente il confine a nessuno. Quindi non hanno nulla da usare contro di me, nessun crimine che possono provare. Io, in qualche modo, trovo l’energia per farlo: ho trovato molta forza ad aiutare le persone che soffrono. Quando aiuti qualcuno, ti è sempre molto grato. Si sviluppano relazioni, si creano amicizie e anche se si tratta di persone che non vedrò mai più, almeno so che in quel momento hanno ricevuto un po’ di aiuto, in modo da poter continuare il loro viaggio verso la vita che sognavano».