24 giugno, concerto di Sfera Ebbasta a San Siro, oltre 60mila spettatori. Qualcuno alza lo sguardo e nota una piccola sagoma correre sui tralicci, senza alcuna imbracatura. È Dedelate (così si fa chiamare sui social), un giovane ormai famoso tra i ragazzi milanesi per la scalata del Duomo e la foto con la Madonnina.
17 anni, di Sondrio, è un appassionato di urbex: si infiltra in edifici pubblici e lo testimonia sui social. Qualche mese fa, il tetto dell’Ariston durante il Festival di Sanremo; poi il Castello Sforzesco e il Duomo di Milano, con conseguente denuncia per invasione di edifici e danneggiamento. Uno degli ultimi, per l’appunto, lo stadio San Siro. «Non ci posso credere, sono scappato da 80 sbirri», aveva scritto subito dopo.
La Questura di Milano ci ha detto di non poterci riferire il preciso numero di agenti presenti all’evento ma, a prescindere da quanta sicurezza Dedelate abbia dovuto evitare per raggiungere la copertura del terzo anello, scalare un palco o uno stadio durante un concerto non è un fenomeno che ha grandi precedenti in Italia. Se fingiamo che l’impresa rock di Al Bano a Pomigliano d’Arco non sia mai esistita, con l’ottantenne che si è improvvisato scalatore di un montante delle luci, la maggior parte riguarda fan che stavano tentando di entrare a eventi senza pagare il biglietto. Iniziative come queste, però, non avevano mai portato a grandi tap tap di tastiere infervorate.
Il caso di Dedelate a San Siro, invece, ha sollevato commenti più vivaci. Complici la rilevanza dell’evento e del rapper, l’altezza della struttura, la conseguente pericolosità percepita e la notorietà ottenuta grazie all’esperienza madonniniana. Ma non solo. Si può notare dai commenti al video da lui pubblicato su Instagram che in molti avevano interpretato la presenza del logo di Vivo Concerti (promotori dell’evento) sul lanyard come una prova di un sostegno interno da parte degli organizzatori. Sfera Ebbasta, inoltre, aveva commentato il video con «Crazyyyyyy». Dal suo management e dall’organizzazione dell’evento non sono però arrivate repliche: alla nostra richiesta di comprendere se fossero a conoscenza che Dedelate sarebbe salito sullo stadio giunge un no comment. «Ci siamo confrontati con management e organizzazione, e siamo concordi sul fatto che preferiamo non commentare la conoscenza della sua presenza o la gestione della sicurezza», ci ha detto l’ufficio stampa di Sfera Ebbasta. «È una cosa brutta e passata e ne hanno parlato ampiamente. Non commentiamo perché non vogliamo dare più visibilità di quella che merita». Sul fronte legale, invece, secondo quanto comunicato dalla Questura del capoluogo lombardo, le indagini verranno avviate non appena la gestione di San Siro (la società M-I Stadio S.r.l.) presenterà denuncia. Lo ha riportato Milano Today il 25 giugno scorso.
L’ascesa di Dedelate non è stata solo fisica, ma anche mediatica, sui social e tra i giornali. E non solo individuale, ma anche del brand di abbigliamento Metacops, di cui sono promotori lui e il gruppo di ragazzi con cui si avventura tra gli edifici. Un brand di cui, però, si conosce poco, se non la vicinanza a Z4 Agency (che raduna la scena urban del Municipio 4 di Milano), come testimoniato da foto e video in compagnia di alcuni componenti. Non si può dire che Metacops sia il brand più trasparente in circolazione. Il sito web è piuttosto disfunzionale (che sia voluto o meno non ci è dato sapere): i pulsanti Terms & Conditions e Privacy e Policy, per esempio, non sono collegati a nulla. Cliccando Contatti si viene rimbalzati alla lista dei capi venduti; lo stesso avviene se si clicca su Faq. Forse la tecnologia non è il punto forte dei gestori (eppure il dominio sembra appartenere a un’agenzia di comunicazione, anch’essa irraggiungibile), o forse rispondere alle domande non è di loro interesse.
Avere contatti con i gestori di Metacops è difficile anche tramite il loro profilo Instagram: nessuna risposta, né nei direct, né alla mail collegata al pulsante Contatta. Il numero di telefono, con prefisso +44 (quindi del Regno Unito), ci risponde su Whatsapp con un messaggio presumibilmente automatico: «Grazie per averci contattato, facci sapere come possiamo aiutarti». Spieghiamo che ci piacerebbe avere alcune informazioni sull’ultimo drop e chiediamo se sia meglio scrivere a questo numero o a Z4 Agency. Nessun’altra risposta. Chiedevano come potessero aiutarci, non promettevano di farlo.
Difficile anche ottenere un contatto da parte dei collaboratori: un ragazzo che ha lavorato per loro, per esempio, ha deciso di non rispondere alle nostre domande perché «poco in confidenza» con i gestori. Convinto che ci avrebbero risposto, ci ha quindi consigliato di scrivere loro sui social, ma non abbiamo ottenuto riscontro.
In questi mesi, molti giornali hanno sovrapposto il motivo per cui Dedelate è conosciuto (il fatto che pubblichi foto e video delle sue scalate) con ciò che lo motiva a salire sugli edifici (che potrebbe essere scattare foto e video, ma non necessariamente, o non solo). Scrivere che «Dedelate rischia la vita per un selfie» – vedasi, per esempio, Il Giorno – è una semplificazione che non possiamo permetterci di fare. Innanzitutto, perché la parola “selfie”, non usata da anni, fa un po’ strano: inserirla nel titolo di un articolo dimostra che comprendere il mondo dei giovani non interessa a chi ne racconta le storie (seppur illegali). Inoltre, non è detto che la motivazione sia davvero quella. Ridurre tutto, senza alcuna prova, al “vuole farsi un selfie” è un modo per rispondere a «perché lo fa?» senza dover sostenere il vuoto dato dall’incapacità di rispondere. È solo un brutto modo per cacciare la testa sotto terra e fingere che la situazione sia controllabile e scontata (e questo è un grande assist per i boomer pronti al tap tap). Ma siamo proprio sicuri che le cose stiano così?