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Green backlash: come la transizione è diventata il nemico numero uno della destra

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Dal Parlamento europeo allo Studio Ovale, le politiche ecologiche sono diventate il nemico della destra radicale. Che ora ha un piano per smantellarle

Febbraio 2025, Madrid. Nella capitale spagnola si sta celebrando il primo evento pubblico di Patriots, il partito dell’ultradestra europea che riunisce tra gli altri il Rassemblement National di Marine Le Pen, Fidesz di Viktor Orban, la Lega di Matteo Salvini. I temi sono quelli che da sempre contraddistinguono l’estrema destra: la lotta contro i diritti civili, l’immigrazione, l’islam. Ma nel corso del summit madrileno, ai nemici di sempre se ne è aggiunto uno nuovo: l’ideologia green. È il segno di come il dibattito sul tema sia cambiato nel giro di un lustro.

Nel 2019, l’ascesa dei movimenti ecologisti era stata la notizia dell’anno. Oggi, al contrario, la transizione ecologica ha perso posizioni nella classifica delle priorità dei decisori politici e delle simpatie degli elettori. A questo fenomeno la stampa europea ha dato un nome: green backlash, il contraccolpo verde. E l’ultradestra è pronta ad approfittarne.

2019, l’anno in cui l’ecologismo cambia volto

L’ecologismo esiste come tendenza politica almeno dagli anni Settanta, ma mai come nel 2019 è sembrato essere il cavallo vincente della politica europea. «Quell’anno, l’irruzione dei movimenti sconvolge l’agenda politica e mediatica», spiega Simone Guglielmelli, ricercatore dell’Università della Calabria e dell’Autonoma di Madrid specializzato in politiche ambientali. La miccia era stata Greta Thunberg, l’allora quindicenne studentessa svedese che, prima delle elezioni parlamentari, iniziò a scioperare in solitaria di fronte al parlamento di Stoccolma per chiedere azioni più incisive in materia di riduzione delle emissioni. Il 15 marzo 2019 Fridays for Future, la più famosa delle sigle di questa fase, riunisce tre milioni di persone – la grande maggioranza delle quali in Europa. Pochi mesi dopo un’altro movimento, Extinction Rebellion, blocca per giorni Londra con azioni di disobbedienza civile. Negli Stati Uniti era già sulla cresta dell’onda Sunrise Movement, una realtà studentesca tra le prime a lanciare figure divenute poi celebri come la deputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez

Quest’ondata si riversa elettoralmente soprattutto sui partiti verdi. Alle europee del 2019 le formazioni ecologiste ottengono il risultato migliore della loro storia, diventando quarto gruppo con 74 seggi. Un risultato ancora più notevole in alcuni Paesi chiave: i Grünen tedeschi arrivano a uno storico 20 per cento, sfiorando il primo posto e superando per la prima volta i socialisti. I francesi di Europe Écologie, fino ad allora fermi a pochi punti percentuali, toccano il 13 per cento. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti il movimento per il clima premia la sinistra: è l’epoca dei Jeremy Corbyn, dei Bernie Sanders, della cosiddetta squad, il quartetto di deputati più progressisti tra i democratici Usa. 

Lo spostamento del senso comune si riflette anche su forze politiche e personaggi non direttamente ecologisti. È una cristiano democratica tedesca, alla guida di una maggioranza centrista, a dare il via al Green Deal europeo, tuttora uno dei più grandi piani per la transizione ecologica mai annunciato. «Sarà il nostro uomo sulla Luna», è la frase con cui lo presenta la sua promotrice, Ursula von der Leyen.

Il green backlash: cosa è cambiato

«Anche in ambito accademico c’è un grande dibattito sul cosiddetto green backlash. Prima, quella climatica era una cosiddetta balance issue. Significa che c’era sostanzialmente accordo sugli obiettivi e quindi le forze politiche competevano poco tra di loro sul tema. Oggi vediamo l’opposto: nel dibattito convivono idee molto diverse su quanto e se si tratti di un tema rilevante e la competizione c’è eccome», dice ancora Guglielmelli.

I numeri sembrano dargli ragione. Diversi sondaggi indicano come altri temi – ad esempio immigrazione e inflazione – preoccupino gli elettori di molti Paesi ben più del clima che cambia. In Europa i verdi sono crollati, diventando sesto gruppo, e non governano più in un Paese chiave come la Germania. Negli Stati Uniti, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca è stato subito segnato dallo smantellamento di molte delle misure ambientali volute dai democratici e già la sua sfidante Kamala Harris, in campagna elettorale, aveva lasciato ai margini il tema della transizione ecologica. A cosa è dovuto questo cambio?

«Credo che ci siano due momenti chiave. Il primo è l’arrivo del Covid-19 nel 2020», spiega il ricercatore. «La pandemia colpisce un movimento per il clima in ascesa e lo priva della dimensione di piazza. Di fatto, proteste di massa sul clima non sono mai tornate dopo la fine delle restrizioni. Il secondo è il 22 febbraio 2022, quando la Russia invade l’Ucraina. Questo evento ha due effetti. Da un lato molti Paesi, Italia compresa, si trovano a dover sostituire le forniture di gas russo. E la strategia di sostituzione viene efficacemente dettata dalle grandi aziende dell’oil & gas, in Italia Eni e Snam, che la modellano secondo il loro modello di business. Dall’altra il clima bellico che ne deriva, e che tuttora vediamo strutturalmente, dirotta fondi e attenzione non su pale eoliche e autobus, ma su esercito e armamenti». 

Un pezzo della politologia legge in questo calo della popolarità delle politiche climatiche anche un ruolo attivo dell’ultradestra, la vera tendenza politica in ascesa in tutto l’Occidente e non solo. «Il clima è ormai entrato nell’armamentario delle cultural wars, le guerre culturali della destra», ha spiegato Lorenzo Zamponi, docente della Scuola Normale Superiore, in un’intervista di pochi mesi fa al quotidiano online Fanpage. «È lo stesso fenomeno che ha riguardato nel tempo i vaccini, l’aborto o il femminismo: si costruisce un’opposizione minoritaria ma rilevante e capace di spostare voti». Una strategia che, per ora, sembra funzionare. Ma che, secondo Guglielmelli, non è necessariamente destinata a durare: «Se ci saranno attori politici che avranno la forza di mettere la transizione al centro del dibattito, di green backlash potremmo non dover parlare più».

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