«La distruzione dell’ambiente intorno a me condiziona la mia vita e mi sento dispersa in questi cambiamenti che non riesco a gestire». Lucia descrive così quello che prova nel vivere in una terra, la Terra dei fuochi, che troppo spesso si trova a dover affrontare disastri ambientali.
La «paura cronica del destino ambientale» (così l’American Psychological Association definisce l’eco-ansia) è diffusa specialmente nelle giovani generazioni. Partendo dai dati della più grande indagine internazionale sull’ansia climatica svolta dalla rivista scientifica Lancet, Legambiente Campania ha proposto Change climate change: l’impegno contro le eco-ansie, una campagna di comunicazione unica in Italia sul tema del contrasto a questo fenomeno. L’iniziativa è ora terminata con la pubblicazione del report Ecoansia, l’altra faccia della crisi climatica e con la creazione di un e-book per affrontare la questione all’interno dell’ambito educativo.
«Le emozioni ambientali» come le ha chiamate Antonio Di Gisi, responsabile del rapporto sull’eco-ansia, «sono percezioni diverse e condizionate dal vissuto di ognuno, che bisogna mettere insieme per dare un senso di comunità». Proprio per questo è stato deciso di ampliare il target di riferimento dell’analisi a una fascia di età compresa tra i 14 e i 35 anni, «per allargare e non stringere il campo», in una situazione di sempre maggiore precarietà economica e sociale. L’analisi ha fatto emergere come l’impatto psicologico dei cambiamenti climatici influenzi maggiormente i giovani tra i 25 e i 30 anni, evidenziando la necessità di azioni rivolte a questo target in termini di consapevolezza ambientale e benessere psicologico.
Di Gisi sottolinea come «le questioni di genere e quelle ambientali si incrociano molte volte»: le donne, infatti, risultano essere le più colpite da emozioni ambientali che generano un senso di impotenza. Per realizzare il report, sono state intervistate anche altre categorie: psicologhe e psicologi, insegnanti delle scuole secondarie e genitori con figli adolescenti. Le risposte hanno fatto emergere l’urgente necessità di gestire gli impatti psicologici dei cambiamenti climatici dando vita a reti di interconnessione.
«Cerco di fare il possibile ma a volte mi blocco, mi sembra che niente possa cambiare le cose», ci risponde Lucia quando le chiediamo che azioni concrete mette in atto per contrastare il cambiamento climatico. Antonio ricorda come l’impegno di Legambiente Campania serva proprio per ampliare le vedute e fornire soluzioni per gestire questo tipo di ansia ambientale. «Parlare di una nicchia del benessere psicologico ha permesso di dare un nome a un’emozione condivisa. Oltre che a poter trasformare la paralisi di fronte ai cambiamenti climatici in attivismo».
L’attivismo, sia esso individuale o collettivo, non deve sovraccaricare di responsabilità il singolo individuo ma deve essere il seme che può far fiorire una moltitudine di azioni. Le risposte più significative nell’indagine, «a cui neanche io avevo pensato», racconta Di Gisi, riguardano la necessità di attività nella rigenerazione urbana, nella cura del territorio e nel recupero del rapporto tra corpo e ambiente.
Con la conclusione dell’anno più caldo dall’era pre industriale e l’inizio di un nuovo anno in cui il fuoco è già protagonista di molte aree del pianeta, le risorse collettive che derivano dalla ricerca sono strumenti imprescindibili per costruire un senso di appartenenza in un futuro incerto.